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giovedì 5 maggio 2011

Convegno a Napoli: “Libertà di espressione e codice di giustizia sportiva”

Martedì 10 Maggio, alle ore 11,30 presso la sala U.I.F. del Tribunale di Napoli, sita al 1° piano Palazzina b del Nuovo Palazzo di Giustizia,si terrà il convegno "Libertà di espressione e codice di giustizia sportiva". La manifestazione è organizzata dalla Fondazione dell’Avvocatura Napoletana per l’Alta Formazione Forense dal Sindacato Forense, dall'Associazione azzurra Lex e dall'Unione Forense Napoli.

Partecipano: il dottor Carlo Iuliano - Giornalista sportivo, l' avvocato Alfredo Mensitieri - Procuratore Vicario FIGC, l'avvocato Arturo Frojo Consigliere COA Napoli – Pres. Comm. Disciplinare Sportiva Campania, l'avvocato Lucio giacomardo - Docente Diritto Sportivo Univ. degli Studi di Napoli Federico II, l'avvocato Fabio Turrà - Associazione Giuristi Italiani per lo Sport

Il dibattito sarà moderato dal giornalista della Tgr Rai Campania Antonello Perillo. Partecipano anche l'avvocato Francesco Caia - Presidente del Consiglio dell’Ordine Avvocati Napoli, l’avvocato Bruno Piacci - Presidente Fondazione Avvocatura Napoletana - Consigliere CNF, l’avvocato Luigi Canale presidente del Sindacato forense Napoli, l’avvocato Sergio Longhi presidente Azzurra Lex e l’avvocato Marino Iannone presidente Unione Forense Napoli.

giovedì 3 febbraio 2011

Caso Felipe Melo: anche la Juve rischia una sanzione. La circostanza esimente va provata e non solo dichiarata

Riceviamo e pubblichiamo il commento dell’avvocato Fabio Turrà sulla vicenda sollevata ieri durante la trasmissione “Controcampo”

Subito dopo la fine degli incontri serali della 23a giornata di campionato, una notizia lanciata in diretta dalla trasmissione sportiva “Controcampo” ha posto alla ribalta ed all’attenzione del pubblico il tema della presenza dei calciatori professionisti sui social network. Veniva infatti rivelato che sul profilo Facebook del calciatore della Juventus Felipe Melo era apparso lo status (una sorta di pensiero espresso pubblicamente) “Morgati bandido”. Da poco era finito l’incontro Palermo - Juventus, perso da quest’ultima, durante il quale la società torinese - attraverso il suo allenatore Gigi Del Neri - aveva espresso perplessità in ordine alla corretta conduzione da parte dell’arbitro Emidio Morganti; non solo, ma la società bianconera aveva - di fatto - impedito ai propri calciatori ogni contatto con i mass media, imponendo il silenzio stampa, proprio percependo il malcontento dello spogliatoio e prevedendo possibili squalifiche per eventuali dichiarazioni lesive proferite dagli atleti nei confronti dell’arbitro. In tale contesto va inquadrato l’episodio attribuito a Felipe Melo, per il quale la Juventus - con estrema tempestività - ha dichiarato, attraverso il proprio direttore della comunicazione Claudio Albanese, essersi trattato di un attacco informatico ai danni del proprio tesserato.

Volendo analizzare dal punto di vista squisitamente tecnico giuridico quanto accaduto, bisogna preliminarmente evidenziare che il potenziale offensivo di Facebook è molto alto, poiché le opinioni espresse attraverso tale mezzo sono visibili e dirette ad una platea numerosissima, soprattutto se ciò avviene ad opera di un personaggio pubblico come un calciatore di serie A.

Per inciso, occorre ricordare che offendere l’altrui reputazione comunicando con più persone (ovvero proprio ed anche usando Facebook, o altri social network), come testualmente previsto dall’art. 595 del codice penale, costituisce il comportamento previsto e punito per il reato di diffamazione, perseguibile a querela della persona offesa.

Nel nostro caso, vertendo in materia di diritto sportivo, vale la pena chiedersi cosa rischia il calciatore della Juventus: l’art. 5 del Codice di Giustizia Sportiva (Dichiarazioni lesive), prevede al comma 1 che ai soggetti dell’ordinamento federale (quale va considerato il tesserato Felipe Melo) è fatto divieto di esprimere pubblicamente giudizi o rilievi lesivi della reputazione di persone, di società o di organismi operanti nell’ambito del CONI, della FIGC…; il comma 4 chiarisce che la dichiarazione è considerata pubblica quando è resa in pubblico ovvero quando per i destinatari, il mezzo o le modalità della comunicazione è destinata ad essere conosciuta o può essere conosciuta da più persone; il comma 5 prevede la comminazione di un’ammenda da € 2.500,00 ad € 50.000,00 oltre ad eventuali sanzioni più gravi, che arrivano anche alla squalifica o addirittura al “daspo” nei casi più gravi.

Resta da chiedersi se anche la Juventus possa rischiare una sanzione: l’art. 5 comma 7 prevede, in proposito, che le società possono essere punite, ai sensi dell’art. 4, con un’ammenda pari a quella applicata all’autore delle dichiarazioni; costituisce, però, circostanza attenuante la pubblica dissociazione dalle dichiarazioni lesive ed, in casi eccezionali, la pubblica dissociazione può costituire esimente.

La dirigenza bianconera ha sostenuto, senza finora dimostrarlo, che il profilo del proprio tesserato sarebbe stato “craccato” ad opera di ignoti. Può tale affermazione (allo stato non ancora provata) costituire “pubblica dissociazione” così come richiesto dalle norme richiamate?

Ma soprattutto appare credibile il fatto che il profilo utente del calciatore sia stato violato proprio in coincidenza con gli avvenimenti del post-partita? Ma soprattutto, come potrebbe egli realmente dimostrare la propria innocenza? La risposta a tale quesito è che ciò potrebbe avvenire solo attraverso una denuncia contro ignoti, a cura del tesserato e/o della società, al fine di dare impulso ad una indagine telematica, da svolgersi a cura della polizia postale. In mancanza, restando le difese del calciatore e della Juve solo affermate, ma di fatto non provate, dovrebbero scattare le sanzioni.

Fabio Turrà

RIPRODUZIONE (ANCHE PARZIALE) DELL'ARTICOLO CONSENTITA PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE: WWW.PIANETAGENOA1893.NET

mercoledì 20 ottobre 2010

Avvocato Turrà: incidenti Genova, ecco quali sanzioni rischia l’Italia

Il pallone in confusione ospita il parere di un noto esperto in materia di diritto sportivo che spiega i motivi di una possibile sanzione ad opera dell’Uefa anche contro la Figc, a seguito dell’incontro Italia-Serbia interrotto a pochi minuti dall'inizio


A seguito della sospensione della gara di qualificazione a UEFA EURO 2012 tra Italia e Serbia di martedì scorso allo stadio Luigi Ferraris di Genova, dovuta alle intemperanze dei tifosi della squadra ospite, iniziate ancor prima dell’avvio dell’incontro e proseguite per molte ore al di fuori dell’impianto sportivo, la UEFA ha emesso un comunicato dichiarando di aver aperto un'inchiesta disciplinare completa e a tutto campo sugli incidenti e i seri disordini che si sono verificati.
Essa si baserà sull’analisi dei referti dell’arbitro (che in prima persona prese la decisione di sospendere la partita) e del delegato UEFA presente allo stadio: sarà poi la Commissione Disciplinare e di Controllo UEFA nella riunione di giovedì 28 ottobre a decidere se e a chi comminare eventuali sanzioni.
Anche l’Italia rischia una sanzione: lo prevede il combinato disposto degli articoli 6 (Responsabilità) e 14 (Misure disciplinari) del Regolamento Disciplinare UEFA, edizione 2008, ancora vigente.
Esse sono ricalcate in Italia dal nostro Codice di Giustizia Sportiva, che prevede una analoga "responsabilità oggettiva" a carico della società che ospita l’incontro di calcio nel proprio impianto sportivo (anche se lo stadio non sempre è di sua proprietà), avvalendosi dei propri stewards e della propria organizzazione.
Tale regola, dai più invisa ed anzi considerata ingiusta, ha la propria ragion d’essere nel tentativo di responsabilizzare le società ospitanti nella prevenzione degli incidenti, attraverso una fitta e rigorosa rete di controlli, sia prima che durante e dopo il match.
Nel caso di Genova gli scarsi controlli (mancate perquisizioni) all’ingresso dello stadio sono stati conseguenza del tentativo di ridurre i danneggiamenti dei tifosi serbi alle auto e a i negozi, lungo il percorso che conduce allo stadio, affrettandone l’ingresso nell’impianto sportivo.
Tornando al Regolamento Disciplinare UEFA, in particolare l’art. 6 dispone che l’associazione o club ospitante è responsabile per l'ordine e la sicurezza sia all'interno che intorno allo stadio prima, durante e dopo la partita ed è responsabile per gli incidenti di qualsiasi natura, e pertanto può essere oggetto di misure disciplinari.
L’art.14 del Regolamento, invece, elenca quali misure possono essere imposte, a norma dell'articolo 53 dello statuto UEFA: esse vanno da provvedimenti meno gravi, quali l’avvertimento, la nota di biasimo, l’ammenda, ad altri che incidono sulla gara o sul torneo, quali l'annullamento di una partita, l’ordine di rigiocarla, la detrazione di punti, l'aggiudicazione di una gara "a tavolino", la disputa di una partita a porte chiuse, fino alle conseguenze estreme quali la chiusura dello stadio, la disputa dell’incontro in un paese terzo, l'interdizione dalle gare in corso e/o l'esclusione dai campionati futuri, la revoca di un titolo o addirittura di una licenza. Ad esse può essere aggiunta anche l’irrogazione di sanzioni pecuniarie.
Infine l’art. 15 del Regolamento Disciplinare UEFA dispone che la sanzione possa essere sospesa per un periodo (cosiddetto di prova) per verificare se si evidenzino recidive.
A mio avviso nei confronti dell’Italia potrebbero essere presi, al più, provvedimenti minimi.
In primo luogo, per quanto affermato dal presidente Figc Giancarlo Abete ovvero "è la prima volta in 100 anni di storia della Federazione che succede una cosa del genere"; inoltre per le scarse (qualcuno ipotizza addirittura errate?) informazioni fornite dalle autorità serbe prima dell’incontro; ancora per il comportamento esemplare tenuto dal pubblico italiano, che non ha minimamente reagito alle provocazioni; infine perché il servizio d’ordine ha evitato conseguenze più gravi ed ha anche arrestato alcuni dei colpevoli degli incidenti.
La federazione serba rischia, invece, pesanti sanzioni, ai sensi dell’art. 11 del Regolamento UEFA, per il comportamento dei propri sostenitori, tra cui il tentativo di invasione del campo di gioco, il lancio di oggetti, l'accensione di fumogeni, l'utilizzo di gesti, parole, oggetti ed altri mezzi per trasmettere messaggi politici, provocatori ed offensivi, nonché per tutti gli atti di danneggiamento.
Fabio Turrà
fabio_turra@libero.it
RIPRODUZIONE (ANCHE PARZIALE) DELL'ARTICOLO CONSENTITA PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE: IL PALLONE IN CONFUSIONE
http://marcoliguori.blogspot.com/

giovedì 22 aprile 2010

Fabio Turrà: «I divieti di trasferta sono un danno per i veri tifosi»

Il noto esperto di diritto sportivo spiega a "il pallone in confusione" l’inadeguatezza e l’ingiustizia dello stop imposto ai sostenitori delle squadre

La mancata fermezza da parte del Viminale e della giustizia sportiva nell’affrontare gli incidenti accaduti dopo il derby di Roma ha creato sconcerto nell’opinione pubblica e in molte tifoserie. Tra esse quella napoletana e genoana punite entrambe ingiustamente. I sostenitori azzurri furono puniti con il divieto di trasferta per tutto il campionato a causa dei danneggiamenti al treno Napoli-Roma dell’agosto 2008 (rivelatisi non veritieri). Invece quella genoana è stata colpita recentemente dal divieto di trasferta a Parma dopo gli incidenti del derby con la Sampdoria. "il pallone in confusione" ha intervistato l’avvocato Fabio Turrà, noto esperto di diritto sportivo, su queste ultime scottanti vicende.
Avvocato lei ha in carico alcune cause di tifosi del Napoli contro la Figc: a che punto sono?
«Sto procedendo a passo spedito, per quanto la burocrazia me lo possa consentire, con i processi nei confronti della Figc e del Coni per il risarcimento dei danni agli abbonati delle curve dello stadio San Paolo di Napoli, cui fu impedito di assistere a tre incontri nella passata stagione, per un assurdo ed ancora incomprensibile addebito di responsabilità oggettiva al Calcio Napoli, a seguito del primo incontro di campionato del campionato 2008-2009».
Può dirci qualche ulteriore particolare?
«Più di questo non posso dire, perché per personale scelta strategica processuale non voglio dare una particolare rilevanza mediatica agli sviluppi delle procedure in corso, ma sono moderatamente ottimista».
Dopo gli incidenti accaduti prima del derby di Genova il Viminale stabilì il divieto di trasferta per i tifosi genoani a Parma: non le sembra un altro caso di ingiustizia?
«Mi sembra che vietare le trasferte alla totalità dei tifosi di una squadra, in modo indiscriminato, sia eccessivamente punitivo in quanto bisognerebbe prestare maggiore attenzione all’identificazione degli autori di fatti di violenza, riservando eventuali misure coercitive solo a questi ultimi».
Cosa pensa delle ultime decisioni prese dal giudice sportivo per gli incidenti in Lazio-Roma?
«Le ultime decisioni da Giampaolo Tosel, in relazione ai gravissimi incidenti avvenuti domenica sera allo stadio Olimpico per il derby della Capitale, sono difficilmente comprensibili, se rapportate ai provvedimenti presi dallo stesso giudice per i fatti avvenuti un anno e mezzo fa (fine agosto 2008) nello stesso stadio di Roma. Voglio precisare che la gravità degli incidenti avvenuti domenica scorsa tra alcuni tifosi (anche se ho difficoltà a definirli così, per me sono semplicemente dei teppisti), che tutti i telespettatori hanno potuto riscontrare in diretta televisiva, con delle immagini raccapriccianti di scontri ripetuti e prolungati, non è neanche minimamente paragonabile a quella molto minore dei fatti dell’agosto 2008».
I media nazionali non sembrano aver dato rilievo a questi fatti gravissimi…
«Mi meraviglia anche il fatto che domenica scorsa sono trapelate, a mala pena, solo le notizie che inevitabilmente dovevano essere comunicate: tre persone accoltellate, di cui uno molto grave con ferite alla gola, una signora con due bambini che ha fatto appena in tempo a fuggire ed a mettere in salvo i suoi figli, perché la sua auto è stata data alle fiamme, un vero e proprio bollettino di guerra, insomma».
Invece l’anno scorso accadde il contrario, si ricorda?
«Non vorrei ripetermi, ma gli episodi verificatisi l’anno scorso - invece - ai quali fu dato un risalto di prima pagina dai giornali e da prima notizia nei telegiornali (tra l’altro utilizzando filmati di repertorio non riferiti ai fatti stessi) furono molto meno gravi e le indagini della magistratura penale riguardanti i presunti danneggiamenti al treno Napoli-Roma hanno portato all’archiviazione. Per quei fatti dell'agosto 2008 il Calcio Napoli ricevette la squalifica dello stadio San Paolo per ben quattro giornate, poi ridotte a tre con conseguenti danni economici per la società e per i tifosi delle curve. Per i fatti gravissimi di domenica scorsa non è stato preso alcun provvedimento di squalifica dello stadio Olimpico di Roma e nessuna restrizione per le trasferte dei tifosi giallorossi e biancocelesti!».
Sembra quindi che siamo davanti all’ennesimo caso di ingiustizia caratterizzata dal criterio "due pesi e due misure"?
«Gli atteggiamenti vittimistici non sono utili ed io non ne sono favorevole, ma questa volta mi conforta il fatto che la disparità di trattamento stabilita dal giudice sportivo, gravemente punitiva a carico del Calcio Napoli (e dei suoi tifosi), rispetto a quella blanda attuata nei confronti della Roma e della Lazio, sia stata evidenziata da persone sicuramente più autorevoli di me, quali il Dr. Bruno D’Urso Presidente dei Gip di Napoli ed ex Giudice Sportivo e Procuratore Federale, dal Dr. Guido Trombetti, Rettore dell’Università di Napoli, nonché da alcuni parlamentari che finalmente stanno facendo sentire la propria voce anche in luoghi deputati ad altro, ma che probabilmente hanno una influenza anche in ambito calcistico».
Si potrà un giorno eliminare nel diritto sportivo il principio ingiusto della responsabilità oggettiva?
«Vorrei sottolineare che l’annoso e dibattuto "muro" rappresentato dalla responsabilità oggettiva delle società di calcio, sul quale ho intenzione di organizzare degli incontri di studio dedicati agli addetti del settore giuridico-sportivo, mal vista dalla quasi totalità dei presidenti e particolarmente avversata dal Presidente Aurelio De Laurentiis, comincia a sgretolarsi: lo stesso Ministro dell’Interno Roberto Maroni ha affermato nella riunione dell’Osservatorio di ieri che "non bisogna sparare nel mucchio punendo le intere tifoserie" e per questo lo stadio di Roma non è stato squalificato. Possiamo sperare che diventerà un principio valido per tutti?».
Marco Liguori
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mercoledì 23 dicembre 2009

L’"abbaglio" di Bergonzi sul laser ha penalizzato il Napoli

Riceviamo in esclusiva per "il pallone in confusione" questo interessante commento da parte dell’avvocato Fabio Turrà di Napoli sul mancato accertamento dell’arbitro e dei suoi assistenti in merito all’impossibile utilizzo diurno da parte del pubblico partenopeo di apparecchiature laser durante la gara degli azzurri contro il Chievo

Nell’euforia generale per la vittoria sul Chievo Verona, per il decimo risultato utile, per le imminenti festività di fine anno, è passata in sordina la multa di 15.000,00 euro inflitta al Napoli dal Giudice Sportivo per il riferito utilizzo di apparecchiature laser da parte del pubblico di fede azzurra. Occorre precisare, però, l’abnorme anomalia procedurale con la quale si è giunti all’applicazione di tale sanzione. E’ ben noto che, negli ultimi tempi, durante gli incontri di calcio serali (cosiddetti posticipi), qualche buontempone – per non appellarlo con epiteti deteriori – ha iniziato a puntare tali raggi luminosi sui calciatori (in particolare sui portieri) per distrarli dall’azione di gioco e, a volte, per fargli commettere clamorosi errori (vedi anche l’errore dal dischetto dello juventino Diego). Premessa la grande difficoltà, da parte degli stewards e delle forze dell’ordine, di individuare ai varchi di accesso dello stadio i possessori di tali apparecchiature miniaturizzate (della grandezza di una penna, per intenderci), il che già rende odiosa e difficilmente sopportabile per questi casi la contestata norma sulla responsabilità oggettiva delle società di calcio, sarebbe auspicabile che il deprecabile utilizzo dei laser venisse accertato dagli addetti alla conduzione della gara (arbitri, guardalinee e quarto uomo), o dagli altri organi ufficiali presenti sul terreno di gioco (addetti della Procura FIGC e/o Commissari di Lega). Orbene, la grande anomalia cui facevo cenno innanzi consiste nel fatto che domenica pomeriggio, non appena il portiere del Chievo, Sorrentino, si è lamentato con Bergonzi per il fatto di essere accecato dalla luce a suo dire proveniente da raggi laser, l’arbitro – senza preventivamente accertare la veridicità di quanto riferito da tale giocatore – ha invitato gli addetti del Napoli a esortare il pubblico, con un annuncio a mezzo altoparlanti, a non utilizzare le apparecchiature laser. Voglio precisare che, per deformazione professionale, osservo più i particolari "tecnici" che le azioni di gioco e, poiché ero presente allo stadio, ho avuto modo di constatare, come potrà essere riscontrato in qualunque momento da chiunque, riguardando la registrazione della partita, che nessuno dei responsabili di cui sopra ha provveduto ad accertare l’effettivo utilizzo dei laser da parte del pubblico. E’ doveroso, a questo punto, ammettere che effettivamente il portiere del Chievo era accecato dalla luce, ma si trattava semplicemente di quella del sole che alle 15,34 circa si avviava basso al tramonto (guarda caso la gara, iniziata alle ore 15,00 è stata sospesa proprio al 34° minuto), visto che domenica a Napoli splendeva proprio dal lato opposto a quello in cui si trovava Sorrentino durante il primo tempo.
Inoltre, cosa non trascurabile, è impossibile puntare i raggi laser verso un obiettivo nelle ore diurne (come si pretenderebbe nel caso in esame), in quanto non si riesce ad indirizzarli e orientarli aiutandosi con la luce proiettata: ciò, a maggior ragione se il target è posto a centinaia di metri di distanza, ovvero da una curva alla porta sita dal lato opposto dello stadio.
Credo, infine, alla buona fede del Giudice Tosel, che sicuramente si è basato sul referto arbitrale di Bergonzi, ma per i prossimi incontri sarebbe auspicabile, ripeto, un più accurato e soprattutto immediato riscontro "sul campo" alle semplici lamentele da parte dei calciatori, anche per evitare che possano essere inflitte sanzioni più pesanti al Napoli, con grave ingiustizia per la possibile applicazione della "recidiva specifica" prevista dal codice di giustizia sportiva.
Fabio Turrà
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mercoledì 14 ottobre 2009

Lo Statuto della FIGC obbliga tesserati e affiliati alla clausola compromissoria

L'avvocato Fabio Turrà chiarisce che tutti coloro che aderiscono alla federazione si obbligano ad accettare le decisioni degli organi di giustizia sportiva: in caso contrario è prevista l’irrogazione di sanzioni. L'intervento è una replica alla risposta dell'avvocato del comitato Piccoli azionisti Lazio, Massimo Rossetti, disponibile qui

Ringrazio il Collega per il suo autorevole intervento e ne approfitto per aggiungere una doverosa replica. Occorre premettere che vi è, da parte degli esperti del diritto generale (ordinario), una diffusa riluttanza ad accettare la "specialità" del Diritto Sportivo; d'altra parte quest'ultimo, lungi dal porsi in antitesi col primo, ne trae legittimità e linfa vitale. E' appena il caso di ricordare che la L.280/2003 nell'art. 1 (La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale) trova il suo fondamento proprio nella Carta costituzionale (Art. 10: L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute). Nei corsi di aggiornamento professionale riservati agli avvocati, che mi sono pregiato finora di organizzare e coordinare in materia di Diritto Sportivo per l'Unione Italiana Forense, in collaborazione con il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli, si è spesso cercato, tra l’altro, di illustrare le criticità della citata L.280/2003, tra cui non ultimi anche i profili di possibile incostituzionalità. Senza dilungarmi troppo sull'argomento "vincolo di giustizia", basti qui dire che la F.I.G.C. ha adottato (al pari di altre federazioni sportive) il sistema delle clausole compromissorie, ovvero di quelle disposizioni che impongono ai singoli tesserati (atleti) e agli affiliati (società) di risolvere le controversie che li coinvolgono attraverso la giurisdizione sportiva (cosiddetta “domestica”). In realtà, gli Accordi Collettivi tra Federazione, L.N.P. e A.I.C. attuano quanto stabilito nello statuto della F.I.G.C., ovvero l'obbligo per tutti coloro che aderiscono a tale federazione sportiva (atleti tesserati, società affiliate) di rivolgersi agli organi di giustizia sportiva e di accettarne le decisioni nelle materie aventi carattere sportivo, rinunciando ad adire la giurisdizione ordinaria dello stato; in caso contrario è prevista l’irrogazione di sanzioni. Gli stessi contratti tipo che legano i calciatori professionisti alle società prevedono espressamente l’accettazione della clausola compromissoria.

E' arguta l'osservazione che, in linea teorica e di principio, nulla impedirebbe di adire il giudice ordinario (nel caso che ci occupa - Pandev/Lazio - il Giudice del lavoro). Pur volendo ammettere, in astratto, tale possibilità, la conseguenza negativa in tal caso sarebbe, però, l'irrogazione di sanzioni (anche gravi), il che rende di fatto impraticabile tale strada alternativa, almeno per chi ha intenzione di proseguire l'attività in ambito federale. D’altra parte, diversamente opinando e stando ai preziosi argomenti svolti dall’esimio Avv. Massimo Rossetti, non sarebbe dato comprendere perché, come da egli stesso ammesso, “la Lazio, a quanto mi consta, avrebbe deciso di accettare la competenza del Collegio arbitrale svolgendo in quella sede le sue difese”. Un approfondimento a parte meriterebbe, invece, l'applicabilità della L.280/2003 a soggetti esterni all'ordinamento sportivo (abbonati, tifosi, azionisti), nel qual caso, invece, condivido in pieno i dubbi riguardanti il possibile contrasto della predetta legge con l'art.24 della Costituzione.

Avv. Fabio Turrà fabio_turra@libero.it

clicca qui per leggere la replica del Comitato piccoli azionisti Lazio su Pandev e clausola compromissoria

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venerdì 9 ottobre 2009

Caso Pandev: replica del Comitato Piccoli Azionisti

Riceviamo e pubblichiamo la risposta dell'avvocato Massimo Rossetti del Comitato Piccoli Azionisti Lazio all'intervento dell'avvocato Fabio Turrà sul caso Pandev

Ringrazio per avermi trasmesso l’intervento in pari data dell’Avv. Fabio Turrà in merito alla clausola compromissoria di cui agli accordi collettivi tra la FIGC, Lega Calcio e Associazione Italiana Calciatori.
Nell’esprimere apprezzamento per l’intervento sopra citato che rappresenta, senza dubbio, un autorevole e importante contributo al dibattito sul tema, mi corre l’obbligo di alcune precisazioni.
L’art. 3 della Legge n.280/2003 testualmente riportato dall’Avv. Turrà non può essere interpretato, a mio avviso, nel senso di aver reso obbligatorio ex lege l’arbitrato previsto dall’art. 4 della Legge n. 91/1981. Quest’ultima disposizione, infatti, stabilisce che nel contratto di lavoro subordinato tra la Società di calcio e il calciatore può – non deve – essere prevista una clausola compromissoria: né la contrattazione collettiva nazionale di lavoro può inserire automaticamente tale clausola nel contratto individuale.
In altre parole, la clausola compromissoria deve intendersi obbligatoria tra le parti del predetto contratto individuale solo se espressamente e specificamente prevista in quest’ultimo e non, lo ripeto, per il solo fatto che essa sia prevista da una legge ordinaria o dalla contrattazione collettiva applicabili al rapporto di lavoro considerato, non potendosi legittimamente verificare alcun automatico inserimento nel contratto lavorativo individuale né in virtù di una legge ordinaria né in virtù di una norma della contrattazione collettiva di categoria. E’ pacifico, infatti, alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale e come già, peraltro, evidenziato nella lettera del 28 settembre u.s. al Consiglio di Sorveglianza della Lazio, che, qualora la legge ordinaria o la contrattazione collettiva prevedano l’attivazione della procedura arbitrale, in specie relativamente al lavoro subordinato, ciò deve avvenire senza pregiudizio alcuno della possibilità per le parti del rapporto di lavoro di adire l’autorità giudiziaria, poiché, diversamente, il divieto di rivolgersi al giudice ordinario, configurando un arbitrato obbligatorio, configurerebbe un istituto costituzionalmente illegittimo per contrasto con plurime norme della Costituzione.
Più precisamente, con l’art. 24, primo e secondo comma ("tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".), con l’art. 25, primo comma ("nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge") e con l’art. 102, primo comma ("la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario").
Per ciò che riguarda, infine, il caso concreto affrontato, vale a dire il caso Pandev, sembra che la questione sia stata già risolta nel senso che la Lazio, a quanto mi consta, avrebbe deciso di accettare la competenza del Collegio arbitrale svolgendo in quella sede le sue difese e, anzi, chiedendo, in via riconvenzionale, il risarcimento di danni a proprio favore. Per dirla alla partenopea, "che la Madonna la accompagni (accompagni la Lazio)!".
Avvocato Massimo Rossetti
paola.tiracorrendo@federmanager.it
Clicca qui per leggere la replica dell'avvocato Fabio Turrà all'intervento dell'avvocato Rossetti

venerdì 2 ottobre 2009

Clausola compromissoria: elemento obbligatorio secondo gli accordi collettivi Figc, Lnp e Aic per le controversie nel calcio professionistico

Sono gli arbitri oppure i giudici ordinari a dover decidere su questioni riguardanti le controversie patrimoniali tra i tesserati e le società? Sull’onda del caso Lazio-Pandev "il pallone in confusione" ha chiesto all’avvocato Fabio Turrà, noto esperto di diritto sportivo, un commento sulla giurisdizione applicabile nelle discipline sportive professionistiche

La questione circa la giurisdizione applicabile in controversie (soprattutto patrimoniali) che investono il mondo dello sport, e del calcio in particolare, è di grande attualità.
Vi sono, infatti, situazioni giuridiche "limite" nelle quali vengono in gioco diritti e/o interessi di soggetti estranei al mondo dello sport, ma a questo connessi. Questo è proprio il caso degli azionisti delle società calcistiche quotate in borsa, che vedono i titoli, nei quali hanno investito i propri risparmi, legati all’andamento non solo dei risultati sportivi conseguiti nei campionati, ma anche all’esito delle vicende giudiziarie che contrappongono le società sportive ai tesserati (vedi caso Lazio–Pandev).
Considerati i numerosi alterni precedenti giudiziari, che talvolta propendevano per un’esclusività di giudizio da parte della Giustizia sportiva e talaltra per la possibilità di accesso alla Giustizia ordinaria, il nostro sistema normativo nazionale – motivato da esigenze contingenti – emanò la Legge 17 Ottobre 2003, n. 280 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva), proprio per mettere un punto fermo alle controverse e alterne, come detto, interpretazioni giudiziali.
Soffermandoci sul caso particolare posto in risalto dai "Piccoli azionisti della Lazio", va preso in considerazione l’Art.3 (Norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria) della predetta Legge n.280 del 2003. Esso testualmente recita:
"Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91"
Va precisato, in proposito, che le clausole compromissorie sono quelle che permettono (e in determinati casi obbligano), per esplicito accordo tra le parti, la devoluzione ad arbitri delle possibili controversie derivanti dal contratto, nel quale sono contenute, in deroga alla giurisdizione normalmente applicabile.
Resta, allora, da chiarire quali siano quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della richiamata "legge 91": essa enuncia le "Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti". L’articolo 4, in particolare, disciplina il rapporto di lavoro subordinato che si può instaurare in tali casi, prevedendo – tra l’altro – che lo stesso si costituisce mediante forma scritta, a pena di nullità, stabilendo, inoltre, che nello stesso contratto può essere prevista una clausola compromissoria con la quale "le controversie concernenti l’attuazione del contratto e insorte fra le società sportive e lo sportivo sono deferite a un collegio arbitrale".
Ne discende che, secondo la norma suddetta, l’inserimento di tale clausola compromissoria sarebbe lasciato come pura "facoltà" alle parti contraenti.
In realtà, nel calcio professionistico, la clausola compromissoria è inserita di diritto nei contratti, e ciò in virtù degli Accordi Collettivi tra F.I.G.C., Lega Nazionale Professionisti e Associazione Italiana Calciatori.
Per tale motivo, mentre per quanto riguarda le altre discipline sportive occorrerà fare riferimento al contratto specifico per verificare, previo esame dello stesso, quale giurisdizione – ordinaria o sportiva – potrà occuparsi del caso, nel mondo del calcio professionistico, le controversie concernenti l’attuazione del contratto e insorte fra le società sportive e lo sportivo dovranno essere deferite al Collegio Arbitrale.
Avvocato Fabio Turrà
fabio_turra@libero.it
RIPRODUZIONE (ANCHE PARZIALE) DELL'ARTICOLO CONSENTITA PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE: "il pallone in confusione"

lunedì 27 luglio 2009

Ecco luci e ombre della revisione del Tas su Mannini e Possanzini

L’avvocato Fabio Turrà spiega in esclusiva a "il pallone in confusione" il contenuto delle 21 pagine dell’ultima sentenza che ha sancito l’assoluzione dei due calciatori

Mannini e Possanzini sono stati assolti. Ha avuto così termine oggi davanti al Tribunale Arbitrale per lo Sport la lunga telenovela della squalifica dei due atleti iniziata un anno e mezzo fa, quando militavano insieme nel Brescia, a causa della loro inadempienza nel presentarsi in ritardo ai medici del Coni per il controllo antidoping: entrambi erano “puliti” da qualsiasi sostanza proibita. L’organismo giudicante di Losanna ha messo la parola fine smentendo però anche se stesso per le diverse decisioni precedenti: è questo il succo delle 21 pagine della sentenza, esaminate in esclusiva per “Il pallone in confusione” dall’avvocato napoletano Fabio Turrà.

Avvocato Turrà, qual è la sua opinione sulla sentenza del Tas sul caso Mannini/Possanzini?
«Devo esprimere le mie perplessità sulla "revisione" della sentenza n.2008/A/1557 emessa dal Tas. Nella mia precedente intervista a “il pallone in confusione” (clicca qui per leggerla) dissi che la sentenza, seppur ingiusta visto che Mannini e il suo ex compagno di squadra Possanzini erano completamente innocenti, in quanto "puliti" al test antidoping, era "giuridicamente ineccepibile". Purtroppo non si può dire altrettanto di quella che ne ha disposto la revisione.
Perché?
«Per cominciare, la richiesta di revisione avrebbe potuto essere esaminata dalla Corte internazionale solo quando le parti soccombenti in causa, in questo caso la Figc e il Coni, oltre ai due giocatori, avessero potuto contribuire con elementi nuovi di cui non potevano essere a conoscenza in epoca precedente all'emissione della sentenza da riesaminare o di cui non potevano oggettivamente dare prova in quell’epoca».
Può spiegare le criticità?
«La prima si può rinvenire nel fatto che nello statuto e nei regolamenti del Tas non è codificata in alcun modo la possibilità di riapertura di un processo per "revisione". Dunque la sentenza odierna, oltre a destare scalpore, è destinata, come dicono gli esperti del diritto, a fare "giurisprudenza": in altre parole, essa potrà essere invocata, in futuro, come rilevante precedente giudiziario per la riapertura di casi ormai chiusi con sentenze definitive. Chi pratica le aule dei Tribunali (a tutti i livelli, non solo quelli sportivi) sa quanto difficile sia riaprire un caso ormai chiuso con sentenza inappellabile: ebbene la Figc, in questo caso, ci è riuscita».
Sembra di capire che è un “pasticcio” giuridico…
«Proprio così, anche se si esamina la seconda criticità. Essa si deve rinvenire nel fatto che la Wada (NDR: l’agenzia internazionale antidoping) che, ricordiamo, aveva fatto appello al Tas perchè riteneva troppo blanda la sanzione di 15 giorni di sospensione dall'attività agonistica, inflitta ai due giocatori del Brescia dal Giudice di Ultima Istanza del Coni, chiedendo la condanna con una squalifica di due anni - poi dimezzata dal Tas, abbia di buon grado accettato di riaprire un caso chiuso a suo favore. Nella pratica forense, una tale disponibilità non la si rinviene praticamente mai, ed è facile immaginarne i motivi».
Ma come potrebbe essere successo tutto ciò?
«Stavolta la Wada, a distanza di pochissimo tempo dall'emissione della sentenza del Tas, non ha frapposto ostacoli, ovvero si è dimostrata disponibile ad un nuovo giudizio sugli stessi fatti: questa è la prova evidente che qualcosa deve essersi mosso, a livello internazionale, per "convincere" la Wada ad accettare la riapertura del processo. E' probabile, infatti, che la nostra Federazione, attraverso i suoi componenti più rappresentativi, abbia sollecitato i vertici europei e mondiali del calcio, per fare pressione sulla Wada e rendere possibile così la riapertura del caso».
E quindi Mannini e Possanzini sono stati assolti: esistono a suo parere altri punti oscuri?
«Per giungere a tanto sono state molte le anomalie processuali, come ad esempio citare testimoni la cui individuazione era possibile anche nel primo processo. A mio avviso, questa è la terza criticità ed è stata commessa dalle parti tutte e anche dalla Corte internazionale stessa che ne ha ammesso l’audizione, portando alla revisione della sentenza n.1557/2008 del Tas, di fatto rendendola inefficace e ridando validità a quella del Giudice di ultima istanza del Coni di squalifica per soli 15 giorni, peraltro già scontata dai due calciatori».
Per concludere, quali sono le conseguenze della “revisione”?
«Se da un canto ha reso possibile eliminare la palese ingiustizia derivante dall’allora squalifica inflitta, ha reso, almeno apparentemente, meno stringenti i dettami della normativa mondiale anti-doping e meno credibile l'operato del Tas che nella sentenza odierna arriva - impiegando ben 21 pagine - a smentire se stesso».
Marco Liguori
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Per leggere la precedente intervista all'avvocato Turrà sul caso Mannini-Possanzini cliccare qui

lunedì 2 febbraio 2009

Ecco i retroscena della sentenza del Tas su Mannini

L’avvocato Fabio Turrà spiega in esclusiva a "il pallone in confusione" il contenuto delle 25 pagine in cui è stata disposta la squalifica del calciatore del Napoli e quella del suo compagno del Brescia Possanzini

Sentenza formalmente ineccepibile, forse l’unica strada percorribile sarebbe quella per cui Coni e Figc potrebbero chiedere un provvedimento di grazia al Wada. Questo è in sintesi il succo delle 25 pagine della sentenza del Tas, il Tribunale sportivo di Losanna, che ha squalificato il giocatore azzurro Daniele Mannini e il suo ex collega Davide Possanzini esaminate in esclusiva per "il pallone in confusione" dall’avvocato napoletano Fabio Turrà. In fin dei conti ciò è possibile: entrambi si sono presentati in ritardo agli esami antidoping, ma non avevano preso sostanze illecite.
Avvocato Turrà come giudica la sentenza del Tas?
E’ giuridicamente ineccepibile. Purtroppo la questione è stata inizialmente sottovalutata per i suoi possibili effetti.
Scendiamo nel dettaglio: chi erano i soggetti tirati in ballo?
Il Wada, ossia l’agenzia internazionale antidoping che ha sede a Montreal in Canada, aveva appellato in giudizio in primis il Coni come "first respondent", come recita la sentenza, a causa della sanzione blanda di 15 giorni di squalifica inferta a Mannini e Possanzini. C’è da sottolineare che il Coni non si è costituito dinanzi al Tas. A seguire c’è la Figc. Mannini e Possanzini sono rispettivamente la terza e la quarta parte trascinata in giudizio.
Quali erano i fatti addebitati?
Al termine della gara Brescia-Chievo del 1° dicembre 2007 Mannini e Possanzini, che all’epoca erano tesserati con la società lombarda, erano stati sorteggiati per il controllo antidoping. I due medici della Figc, Vincenzo De Vita e Riccardo Miniadore, avvisarono riguardo ai nomi dei calciatori il medico delle "Rondinelle", Diego Giuliani, e si recarono verso l’area dei prelievi assieme ai due atleti. Ma accadde un imprevisto.
E cosa accadde precisamente?
Il testo della sentenza riporta che i quattro vennero intercettati dal presidente del Brescia, Gino Corioni, che era su tutte le furie e invitava Mannini e Possanzini a recarsi immediatamente verso lo spogliatoio dello stadio "Rigamonti" per presenziare alla riunione con l’allenatore Serse Cosmi. Ciò era stato stabilito a causa della terza sconfitta consecutiva della squadra lombarda.
E i medici della Figc come agirono davanti a questo imprevisto?
Il dottor De Vita fece presente che a norma del regolamento i due giocatori non potevano allontanarsi dalla sua vista fino al momento dei prelievi. Di conseguenza, recita ancora la sentenza, i dirigenti del Brescia invitarono i due medici federali a entrare nello spogliatoio. Ma De Vita, come ha testimoniato davanti al Tas, trovò la porta di accesso chiusa dall’interno.
Quindi dovettero attendere la fine della riunione per effettuare i prelievi?
Proprio così. Quindi Mannini e Possanzini si presentarono in ritardo ai controlli antidoping: ai quali risultarono negativi, ossia completamente puliti da eventuali sostanze dopanti.
Qual è la norma che dispone la squalifica?
La sentenza riporta che la punizione ai due giocatori è stata inflitta ai sensi dell’articolo 2.3 del codice Wada. La disposizione stabilisce che se gli atleti rifiutano o omettono di sottomettersi ai controlli antidoping, senza addurre particolari motivi di impedimento ad essi, è prevista una sanzione minima di due anni di squalifica. E’ stata ridotta a un solo anno poiché è stata riconosciuta la buona fede di Mannini e Possanzini.
Ma non esistono eccezioni o "scappatoie" al riguardo?
No. Esiste un obbligo per i giocatori di informarsi sulle sostanze proibite e sulle esatte procedure per essere sottoposti agli esami: parimenti, essi hanno l’obbligo di non sottrarsi ad essi, nel momento in cui sono sorteggiati. Nel caso di Mannini e Possanzini si evidenzia nella sentenza un altro fatto ben preciso e che è stato altrettanto decisivo per imporre la squalifica.
Quale?
La sentenza sottolinea che entrambi hanno fatto una scelta, nonostante la costrizione del presidente Corioni, tra partecipare alla riunione nello spogliatoio oppure recarsi dai medici federali per i controlli. Se avessero disertato la prima, l’eventuale sanzione inflitta loro dal Brescia sarebbe stata annullata poiché avrebbero ottemperato al loro preciso dovere di sottoporsi agli esami. Avendo evitato questi ultimi, ritardandoli, di conseguenza è scattata la sanzione del Tribunale sportivo internazionale.
Ma si sarebbero potute addurre altre argomentazioni per discolpare i due calciatori?
Sarebbe stato più opportuno se la difesa avesse insistito sull’impossibilità materiale per entrambi di uscire dalla riunione nello spogliatoio, in cui erano stati spinti contro la loro volontà. Mancando ciò, il Tas ha deciso per la loro colpevolezza.
Ma non sarebbe stato meglio chiamare Corioni come testimone?
Stranamente manca il suo nome nell’elenco dei testimoni. Per il Brescia ci sono solo Cosmi, il medico Giuliani e il team manager Edoardo Piovani.
A questo punto cosa si può fare?
In teoria c’è soltanto il ricorso alla Corte federale svizzera: ma finora vi sono stati pochissimi precedenti e bassissime percentuali di esito vittorioso. Il procedimento rischia di durare circa un anno: è quindi inutile intentarlo, visto che Mannini e Possanzini avrebbero già scontato la squalifica. Sarebbe meglio che Coni e Figc chiedessero la grazia al Wada motivandola con l’ingiustizia della sanzione inflitta, ammettendo di aver recepito l’importanza della tempistica e dell’obbligo dei controlli e sottolineando che Mannini e Possanzini non avevano assunto sostanze proibite.
Marco Liguori
Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte
ASCA (SPR) - 02/02/2009 - 20.24.00
CALCIO: AVV. TURRA', SENTENZA TAS INECCEPIBILE. MEGLIO CHIEDERE GRAZIA
ZCZC ASC0184 1 SPR 0 R03 / +TLK XX ! 1 X CALCIO: AVV. TURRA', SENTENZA TAS INECCEPIBILE. MEGLIO CHIEDERE GRAZIA = (ASCA)
- Roma, 2 feb - La sentenza del Tas che ha squalificato per un anno Mannini e Possanzini per essersi presentati in ritardo ad un controllo antidoping e' ''formalmente ineccepibile''. Meglio sarebbe per Coni e Figc chiedere la grazia al Wada. E' quanto sostiene l'avv. Fabio Turra' a ''il pallone in confusione''. Dopo aver ripercorso i fatti accaduti al termine della gara Brescia-Chievo del 1 dicembre 2007, il legale precisa che il tribunale ha applicato una precisa disposizione in cui si stabilisce che ''se gli atleti rifiutano o omettono di sottomettersi ai controlli antidoping, senza addurre particolari motivi di impedimento ad essi, e' prevista una sanzione minima di due anni di squalifica. E' stata ridotta a un solo anno poiche' e' stata riconosciuta la buona fede di Mannini e Possanzini''. Non esistono quindi eccezioni. ''Esiste un obbligo per i giocatori - spiega - di informarsi sulle sostanze proibite e sulle esatte procedure per essere sottoposti agli esami: parimenti, essi hanno l'obbligo di non sottrarsi ad essi, nel momento in cui sono sorteggiati'' mentre se avessero disertato la riunione a cui li ha obbligati il presidente Corioni ''l'eventuale sanzione inflitta loro dal Brescia sarebbe stata annullata poiche' avrebbero ottemperato al loro preciso dovere di sottoporsi agli esami. Avendo evitato questi ultimi, ritardandoli, di conseguenza e' scattata la sanzione del Tribunale sportivo internazionale''. A questo punto cosa si puo' fare? ''In teoria - sostiene l'avv. Turra' - c'e' soltanto il ricorso alla Corte federale svizzera: ma finora vi sono stati pochissimi precedenti e bassissime percentuali di esito vittorioso. Il procedimento rischia di durare circa un anno: e' quindi inutile intentarlo, visto che Mannini e Possanzini avrebbero gia' scontato la squalifica. Sarebbe meglio che Coni e Figc chiedessero la grazia al Wada motivandola con l'ingiustizia della sanzione inflitta, ammettendo di aver recepito l'importanza della tempistica e dell'obbligo dei controlli e sottolineando che Mannini e Possanzini non avevano assunto sostanze proibite''. red-rf/sam/lv 022024 FEB 09 NNNN

venerdì 12 dicembre 2008

Al via le cause per il risarcimento degli abbonati del Napoli contro Figc e Coni

L’avvocato Fabio Turrà ha spiegato in esclusiva a “il pallone in confusione” che ha notificato stamattina gli atti di citazione per conto di alcuni tifosi azzurri colpiti ingiustamente dalla chiusura delle curve del San Paolo decisa dalla giustizia sportiva

E’ iniziata la “partita” degli abbonati delle curve contro Figc e Coni. Stamattina l’avvocato Fabio Turrà, legale di alcuni sostenitori azzurri, ha consegnato agli ufficiali giudiziari gli atti di citazione in cui si chiede il risarcimento dei danni a causa della sentenza del giudice sportivo Giampaolo Tosel che aveva imposto la chiusura dei settori popolari dello stadio San Paolo fino al 31 ottobre in seguito ai fatti avvenuti nello stadio Olimpico in occasione di Roma-Napoli del 31 agosto scorso, poi ridotta fino alla gara con la Juventus. Le prime udienze si svolgeranno tra fine febbraio e i primi di marzo 2009 presso le aule del Giudice di pace di Napoli. Il legale ha chiesto una cifra complessiva per ciascun assistito di 735,53 euro: in essa sono compresi il danno patrimoniale emergente e quello non patrimoniale stimato in 700 euro per non aver potuto assistere a tre partite. Alcuni abbonati avevano già presentato lo scorso settembre, tramite sempre l’avvocato Turrà, il ricorso in qualità di terzi non appartenenti all’ordinamento sportivo davanti alla Camera di Conciliazione e Arbitrato del Coni. Ricorso che neppure fu ammesso. «Avevo fatto la promessa ai miei amici tifosi che avrei fatto tutto il possibile – spiega l’avvocato Turrà a “il pallone in confusione” – per ottenere un giusto risarcimento contro l'ingiustizia perpetrata contro di loro. A me stesso avevo fatto la promessa che proprio entro la fine dell'anno sarebbero partite le prime richieste di risarcimento».
Le cause si basano su una serie di motivazioni giuridiche. Il legale degli abbonati spiega innanzitutto che il primo riguarda il fatto che «la sentenza del giudice sportivo è stata sproporzionata, ingiusta e discriminatoria poiché ha colpito anche persone che non avevano alcuna responsabilità con i fatti accaduti all’interno dello stadio Olimpico. Al riguardo ho richiamato l’articolo 2043 del Codice civile riguardante appunto il procurato danno ingiusto verso i miei assistiti». Inoltre, la sentenza di Tosel è stata attaccata per incostituzionalità in base agli articoli 3 e 13 della nostra Costituzione. A ciò si aggiunge l’articolo 111 «per il provvedimento della Camera di Conciliazione a cui non è stata data una motivazione adeguata» aggiunge l’avvocato Turrà. Inoltre «il giudice sportivo ha applicato soltanto in parte il comma 3 dell’articolo 4 del Codice di giustizia sportiva – prosegue il legale – poiché avrebbe dovuto anche essere sanzionata la Roma per non aver controllato l’introduzione di petardi e fumogeni all’interno dell’impianto». Infine, sottolinea Turrà, «esistevano una serie di circostanze esimenti e attenuanti ampiamente provate che non sono state prese in considerazione dagli organi della giustizia sportiva».
E’ possibile ancora presentare altre richieste di risarcimento danni contro Coni e Figc. Gli abbonati delle curve possono contattare lo studio Turrà all’email fabio_turra@libero.it oppure al numero di telefono 0817347273.
Marco Liguori
(Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte)
Vedi anche Sintesi tv di Napoli-Lecce 3-0 (da You Tube) e "Porompompero" e il Napoli trionfò sul Lecce 4 a 0

martedì 14 ottobre 2008

L’ombra del dubbio sulla dichiarazione di incompetenza del Coni

L’avvocato Fabio Turrà spiega a “il pallone in confusione” che secondo l’articolo 30 dello statuto Figc la Camera di Conciliazione avrebbe potuto esprimersi sul ricorso del Napoli contro la sanzione delle curve chiuse

Non vi è cosa più odiosa della negazione della giustizia. La decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato del Coni ha un sapore beffardo: essa si basa su una interpretazione letterale stretta dell’art. 30 comma 3 lett. c) dello Statuto della Figc secondo il quale, letteralmente: “non sono soggette ad arbitrato le controversie decise … in via definitiva dagli Organi della giustizia sportiva federale … che abbiano dato luogo a sanzioni …comportanti: … c) l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse…”
Sulla base di una sbrigativa interpretazione di tale articolo dello Statuto, la Camera del Coni si è dichiarata incompetente a decidere sulla controversia riguardante la riapertura di alcuni settori (le curve) dello stadio San Paolo, ma a ben vedere la norma in questione pare riferirsi alla chiusura totale dello stadio, che è cosa ben diversa. Diversamente opinando, stante la professata rigidità di applicazione delle regole statutarie da parte federale, avremmo dovuto leggere (magari in un inciso) che la Camera del Coni è incompetente a decidere delle sanzioni comportanti l’obbligo di disputare una o più gare a porte, anche solo parzialmente, chiuse.
Correttamente l’arbitro designato dal Napoli, Angelo Piazza, ha dissentito dall’interpretazione dell’altro componente del collegio designato dalla Figc, Marcello de Luca Tamajo, e del presidente Dario Buzzelli, e tale dissenso è stato annotato nella laconica decisione finale, che si riporta testualmente: «Il Collegio Arbitrale composto dal Presidente, Avv. Dario Buzzelli, e dagli arbitri Prof. Avv. Angelo Piazza e Avv. Marcello de Luca Tamajo, riunito in Roma in data 13 ottobre 2008, ha deliberato a maggioranza dei voti il seguente lodo nel procedimento di Arbitrato promosso dalla S.S. Calcio Napoli Spa contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio: 1) Dichiara la incompetenza del Collegio Arbitrale; 2) Dichiara le parti costituite tenute in egual misura, con vincolo di solidarietà, al pagamento dei diritti degli arbitri, come separatamente liquidati, nonché dei diritti amministrativi della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport; 3) Compensa tra le parti le spese di lite; Così deliberato a maggioranza dei voti, con il dissenso del Prof. Avv. Angelo Piazza. Roma, 14 ottobre 2008».
Mi sia consentita una nota finale: la Figc e il Coni hanno perso, con l’uso di una eccessiva rigidità interpretativa delle norme, una buona occasione per far prevalere il buon senso che dovrebbe sempre animare il loro operato.
Fabio Turrà
(Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte)

giovedì 25 settembre 2008

L’avvocato degli abbonati delle curve del San Paolo: non parteciperemo all’arbitrato Coni

Fabio Turrà spiega a “il pallone in confusione” che, per favorire l’accordo tra Napoli e Figc e nell’interesse dei tifosi, non intende sovrapporsi al ricorso principale

L’avvocato degli abbonati delle curve del San Paolo, Fabio Turrà, non si presenterà all’udienza dell’arbitrato del Coni per favorire l’accordo tra il Napoli e la Figc. Il legale, che si è visto oppore il diniego all’ammissione della presentazione dell’istanza per i suoi assistiti in sede di Conciliazione, spiega a “il pallone in confusione” che ha preso questa decisione innanzitutto per un motivo di ordine pratico. «Non presentare una nuova "istanza di ammissione all'intervento di terzi" – afferma Turrà - nel procedimento arbitrale che si terrà in settimana al Coni, malgrado l’art.10 comma 7 del Regolamento di tale organo giudiziario consenta l’intervento di terzi nell’arbitrato, come previsto anche dell’art.5 comma 10 per la procedura di conciliazione».
L’avvocato specifica che «le stesse ragioni, ossia passione e amore per lo sport e per la giustizia, che mi hanno spinto ad impegnarmi affinché venisse annullata o ridotta la sanzione subita dalla S.S.Calcio Napoli in via diretta, ma subita ancora di più dagli incolpevoli tifosi delle curve A e B, mi inducono questa volta a non partecipare all’arbitrato, anche perché la Camera del CONI si è già pronunciata con una decisione poco condivisibile in merito all’art.5 comma 10 del Regolamento». In pratica, il legale, dopo aver ricevuto un primo “no” dai conciliatori, rischierebbe di riceverne un altro anche in sede di arbitrato. L’organismo del Coni molto probabilmente addurrebbe come motivo il fatto che nel concetto di «terzi» di cui parla il regolamento non possono essere inclusi gli abbonati del Napoli. Concetto, a detta dell’avvocato Turrà, molto opinabile.
Il legale prosegue il suo colloquio con “il pallone in confusione” con una iniezione di ottimismo per l’esito del ricorso del Napoli. «Sono sicuro, infatti, che la società Calcio Napoli ha fatto e sta facendo tutto il possibile, anche nell'interesse dei propri sostenitori, per contrastare e/o attenuare la sanzione ingiustamente comminata dagli organi di Giustizia Sportiva. Sono cautamente ottimista per la riapertura “condizionata” delle curve per Napoli-Juventus». Turrà conclude con un’ulteriore motivazione giuridica del suo ritiro davanti all’ultimo grado della giustizia sportiva. «Sono riuscito nel mio intento di far sentire anche il peso, la determinazione e le sacrosante ragioni degli abbonati delle curve – sottolinea il legale – nel giudizio di conciliazione dinanzi alla Camera del Coni. Questo perché se è vero che gli stessi non sono stati ammessi in quell'udienza i giudici hanno letto attentamente ed hanno anche riflettuto sui motivi esposti nell'istanza da me presentata. Ritengo però strategicamente più giusto, in questa fase, evitare inutili sovrapposizioni difensive con il Napoli».
Marco Liguori
(Riproduzione riservata, possibile soltanto dietro citazione della fonte)

Arbitrato Napoli-Figc per curve chiuse: udienza il 3 ottobre al Coni

In un comunicato stampa, la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport ha reso noto che è stata fissata per venerdì 3 ottobre, alle ore 15, presso gli uffici dello stadio Olimpico a Roma, l'udienza arbitrale relativa per la sanzione delle curve chiuse dello stadio San Paolo imposta dalla giustizia sportiva. Saranno di fronte il Napoli e la Federazione italiana gioco calcio. Il collegio arbitrale sarà composto dal presidente Dario Buzzelli e dagli avvocati Angelo Piazza e Marcello de Luca Tamajo, in qualità di arbitri. 
Come anticipato martedì scorso da "il pallone in confusione" non sarà presente Fabio Turrà, l'avvocato che rappresentava un gruppo di tifosi napoletani. Seguirà a breve la sua intervista.
Marco Liguori
(Riproduzione riservata, possibile soltanto dietro citazione della fonte)

sabato 20 settembre 2008

CALCIO: AVV.TURRA', INAMMISSIBILITA' TIFOSI NAPOLI E' UN ERRORE

ASCA (SPR) - 18/09/2008 - 20.16.00CALCIO: AVV.TURRA', INAMMISSIBILITA' TIFOSI NAPOLI E' UN ERRORE
ZCZC ASC0282 1 SPR 0 R03 / +TLK XX ! 1 X CALCIO: AVV.TURRA', INAMMISSIBILITA' TIFOSI NAPOLI E' UN ERRORE = (ASCA) - Roma, 18 set - ''L'inammissibilita' dei tifosi del Napoli e' un errore della Camera di conciliazione''. Lo fa rilevare in esclusiva a ''il pallone in confusione'' l'avvocato Fabio Turra', rappresentante di sette abbonati delle curve A e B, che stamattina si e' visto rifiutare l'accesso al procedimento davanti alla Camera di conciliazione del Coni a Roma. ''Il vice presidente vicario non ci ha ammesso - spiega Turra' - adducendo il fatto che al procedimento possono partecipare solo i soggetti appartenenti all'ordinamento sportivo. Ma tutto cio' non e' previsto all'articolo 5 comma 10 del regolamento della Camera di conciliazione. In esso si parla genericamente soltanto di 'un terzo'. Esso non prevede quindi nel modo piu' assoluto il requisito soggettivo dell'appartenere all'ordinamento sportivo''. Il legale prosegue specificando che ''sto studiando il modo di far partecipare gli abbonati all'arbitrato, che il Napoli ha gia' dichiarato di intentare nei confronti della Figc, mettendo in risalto l'errore che ho appena evidenziato. Leggendo la normativa in questione, si comprende l'errore commesso dai conciliatori del Coni. Infatti, l'articolo 5 comma 10 dispone testualmente che 'un terzo' puo' partecipare al procedimento di conciliazione tra altri iniziato ai sensi del presente Regolamento qualora abbia nella controversia tra altri insorta un interesse individuale e diretto, specificando le ragioni di tale istanza, il fondamento della propria legittimazione e l'interesse che la giustifica e formulando le conclusioni che intende proporre nella conciliazione''. red-rf/rf/rob 182018 SET 08 NNNN
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il pallone in confusione

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