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lunedì 19 gennaio 2009

Oggi pomeriggio Banda Bagaj ospite da Don Mazzi su Sat2000tv

Riceviamo da Virgilio Motta del Club Inter Banda Bagaj e pubblichiamo

Per chi fosse interessato, oggi pomeriggio alle 17,10 circa, verra trasmessa l'intervista tv di Don Mazzi a me e max in merito alla mia spiacevole e deplorevole vicenda della diffida dagli stadi. (NDR: si legga San Siro: diffidato per assurdo e Lettera aperta di Banda Bagaj al responsabile Centro Coordinamento Inter Club)
E' possibile vederla su:
-Sat 2000
-sito internet di Sat 2000 http://www.sat2000.it/
-digitale terrestre
-Sky 801
ciao a tutti
Virgilio Motta
Banda Bagaj
Virgilio.Motta@a2a.eu

lunedì 12 gennaio 2009

San Siro: diffidato per assurdo

Riceviamo dal presidente del Club Inter Banda Bagaj e pubblichiamo
Ciao a tutti,
vi ricordate che in occasione della partita Inter-Anorthosis il nostro Virgilio Motta è stato invitato ad assistere alla partita al Primo Anello Arancio? Virgilio era entrato come accompagnatore dei bambini ed era in possesso di un regolare biglietto di PRIMO ANELLO ARANCIO che non consentiva di accedere al SECONDO ANELLO BLU.
Avrebbero dovuto multarlo per un importo che poteva variare da 100 a 500 euro.
Sabato a Virgilio è stato notificato che hanno avviato un procedimento di divieto d’accesso agli impianti sportivi (diffida) nei suoi confronti.
Di conseguenza ci stiamo attivando per presentare (ENTRO DOMANI) un Ricorso.
Chiunque avesse dei consigli da darci è invitato a contattarci appena possibile.
Grazie
Massimiliano Rizza
INTER CLUB
BANDA BAGAJ

info@bandabagaj.it

Nota de "Il pallone in confusione"
Questa vicenda ha dell'incredibile. E' come se un passeggero di un treno detentore di biglietto di prima classe fosse sanzionato con una multa perché si trova in seconda. Non sarebbe più opportuno usare il buon senso e chiudere bonariamente il tutto?

sabato 26 maggio 2012

Ciao Virgi!

Sono ancora attonito e incredulo per il suicidio di un mio caro amico, Virgilio Motta, tifoso dell'Inter e membro del club Banda Bagaj (ragazzi in dialetto mlanese). Virgi era stato aggredito nel febbraio 2009 durante un derby e gli era stato disintegrato un occhio con un pugno da un ultrà milanista. Il suo avvocato ha spiegato il suo stato di profonda prostrazione per il prosieguo della vicenda giudiziaria: «Le sue condizioni psicologiche sono peggiorate perché gli imputati condannati per quegli scontri non gli hanno versato i 140 mila euro che gli dovevano come risarcimento e con i quali lui voleva andare all'estero per provare a curarsi». Per Virgi era iniziato un lungo e doloroso calvario terminato purtroppo in un tragico, e voglio sottolineare, epilogo. Ci siamo sentiti telefonicamente alcuni mesi fa e ci scrivevamo spesso tramite email e Facebook: nonostante le sue tante difficoltà dovute a causa della menomazione, nulla faceva presagire questa sua terribile decisione.
Ho tanti ricordi di Virgi e di tutti i suoi amici di Banda Bagaj, come il presidente Massimiliano Rizza impegnati nel sociale. E, soprattutto, a portare i bambini allo stadio e a insegnare loro i valori autentici del tifo: incitare la propria squadra a squaciagola, ma rispettando sempre e comunque l'avversario. Ricordo il modo in cui l'avevo conosciuto: mi spedì una lettera nel novembre 2008 in cui sottolineava il clima esasperato che già regnava allora a San Siro con un episodio che aveva visto come protagonista sua figlia Alice, la luce dei suoi occhi. «La situazione è talmente esasperata che un paio di domeniche fa mia figlia DI 5 ANNI - scriveva Virgi - è stata rimproverata per aver tirato un PERICOLOSISSIMO palloncino gonfiabile (parlo di quelli che si comprano in cartoleria, che si gonfiano a fiato e che non superano i 30 cm di diametro. peso del palloncino 0,0000000000000000000001 mg. velocità di caduta, 0,00000000000000000001 km/h. venti minuti di pianto. Morale: non vuole più venire allo stadio per paura di beccare l'uomo con la canottiera gialla. E non ditemi che la responsabilità è di quel tizio. Chi ha esasperato quel ragazzo fino a quel punto??? Tutto questo accade nella nostra amatissima Milano con la vostra fantastica, esemplare, ammirevole e invidiabile amministrazione». Il mese dopo mi spedì un comunicato del suo club sulla tragicomica situazione creatasi durante Inter-Napoli: «i tifosi napoletani c’erano nonostante i divieti (ASSURDI), e come l’anno scorso, invece di essere nel loro settore, erano mischiati con i tifosi interisti». Banda Bagaj prese due decisioni che piacquero tantissimo ai tifosi e agli organi di informazione della città partenopea: «Perché proibire agli abbonati dell’Inter di poter cedere abbonamento a residenti fuori Milano? Per evitare di cederlo a tifosi napoletani? DECISIONE SBAGLIATA. NOI ABBIAMO CEDUTO ALCUNI DEI NOSTRI A TIFOSI NAPOLETANI, RESIDENTI A MILANO MA NAPOLETANI. Perché proibire la vendita dei biglietti on-line o in banca? Per evitare che li potessero comprare i tifosi napoletani? DECISIONE SBAGLIATA. MOLTI AMICI TIFOSI NAPOLETANI (RESIDENTI A MILANO) LO HANNO ACQUISTATO COMUNQUE».
In basso inserisco un link al mio blog dove ci sono tutti i comunicati e le lettere spedite da Virgilio che sognava (nonostante tutto) un mondo del calcio tranquillo e sereno. Ciao Virgi, mando un abbraccio forte a te che sei nell'anello d'onore di San Siro, assieme a Peppino Prisco, a Giacinto Facchetti, Armando Picchi, i genoani, i napoletani e a tutti i tifosi delle altre squadre. Sperando che cambi qualcosa in questo mondo pallonaro, tanto bello quanto assurdo.
Marco Liguori
Clicca qui per leggere tutti i comunicati e le lettere di Virgilio Motta

venerdì 28 novembre 2008

Buona domenica a tutti con il percorso a ostacoli per Inter-Napoli

Riceviamo e pubblichiamo da Virgilio Motta di Inter Club Banda Bagaj che spiega l'inutilità e l'assurdità delle limitazioni per la partita di domenica prossima. Lancia anche un importante e civile segnale di distensione verso i sostenitori azzurri: «Aiuterò qualunque tifoso per bene, nerazzurro o napoletano, ad entrare allo stadio»

Domenica chiusura del settore ospiti ai tifosi napoletani.
Ecco il percorso a ostacoli per l'acquisto dei biglietti e i cambi nome in occasione di Inter-Napoli.
Personalmente non sono d'accordo con questo inutile percorso a ostacoli: è un vero e proprio "gioco dell'oca" e spiego il perché.
1) Queste restrizioni non fanno altro che penalizzare migliaia di tifosi napoletani per bene e migliaia di tifosi nerazzurri per bene.
2) Alzi la mano chi pensa davvero che queste misure impediranno l'ingresso ai tifosi napoletani.
3) Lo stadio è un luogo che rientra tra i luoghi frequentati all'interno della nostra società. Se uno delinque ad un concerto, al cinema, in un pub, viene penalizzato soltanto chi ha commesso il reato. Perché invece chi delinque allo stadio continua ad entrare e chi si comporta bene deve restare a casa perché abita (in questo caso) a Piacenza, Lodi, Napoli oppure Palermo invece che a Milano?
4) Sondaggio (chi si avvicina di più vince una maglietta della Banda Bagaj ☺):
a) quanti napoletani saranno presenti domenica al Meazza? zero? 50 ? 100? 1000? Di più?
b) visto che il settore ospiti sarà chiuso, dove si/li sistemeranno?
Personalmente non seguirò l’inutile percorso a ostacoli e aiuterò qualunque tifoso per bene, nerazzurro o napoletano, ad entrare allo stadio anche se “non in regola” con la residenza, con la tessera del tifoso, con i cambi nome, con il permesso di soggiorno, con il bollo auto, con l’assicurazione, con le spese condominiali, con la bolletta della luce, ma che sia in regola con la sportività, la non violenza, l’antirazzismo…
Buona domenica soprattutto alle forze dell’ordine, che in seguito a certe decisioni assurde, avranno ancora più problemi di quanti ne avrebbero avuti se si fosse aperto il settore ospiti.
Virgilio Motta
Inter Club Banda Bagaj http://www.bandabagaj.it/
info@bandabagaj.it
Virgilio.Motta@a2a.eu
(Nota per i lettori che risiedono al di fuori della Lombardia: "Bagaj" significa "bambini")

L'Inter Club Banda Bagaj ha anche spedito il comunicato stampa dell'Inter con le disposizioni per la partita di domenica

Giovedì, 27 Novembre 2008 07:56:02
MILANO - Ritorna il campionato. In previsione di Inter-Napoli, gara valida per la 14^ giornata della Serie A Tim, in programma domenica 30 novembre 2008 allo stadio "Giuseppe Meazza" in San Siro, si ricorda la vendita dei tagliandi ha avuto inizio martedì 25 novembre 2008. I biglietti possono essere ancora essere acquistati solo ed esclusivamente presso le agenzia della Banca Popolare di Milano e Banca di Legnano con sede nella Regione Lombardia.
Inter.it vi propone tutte le informazioni di servizio riguardanti i tagliandi e l'utilizzo degli abbonamenti per Inter-Napoli.
1) sarà inibita la vendita on line;
2) sino a un massimo di due a persona, i biglietti potranno essere acquistati solo ed esclusivamente dai possessori degli abbonamenti Inter per la stagione 2008-2009 e dai possessori della Tessera del Tifoso Inter (sottoscritte entro e non oltre le ore 13 di mercoledì 26 novembre 2008); gli abbonati e i possessori della Tessera del Tifoso Inter possono acquistare biglietti solo per persone residenti nella Regione Lombardia;
3) non è possibile la cessione dei biglietti, ma solo quella delle tessere e solo a persone residenti nella Regione Lombardia;
4) solo il titolare della tessera del tifoso Inter che vuole acquistare un biglietto per se stesso può non essere residente nella Regione Lombardia;
5) per quanto riguarda i cittadini stranieri, solo i residenti nella Regione Lombardia possono acquistare il biglietto o essere destinatari e utilizzatore di abbonamenti ad altri intestati;
6) sarà inibita la cessione on line ad altro utilizzatore della tessera d'abbonamento;
7) la cessione degli abbonamenti ad altro utilizzatore potrà avvenire in tutte le agenzie Banca Popolare Milano e Banca di Legnano entro venerdì 28 novembre presentando la tessera di abbonamento dell'intestatario e fotocopia del documento d'identità dell'utilizzatore che ne attesti la residenza nella regione Lombardia;
8) la cessione degli abbonamenti ad altro utilizzatore nella giornata di domenica sarà possibile, con le stesse modalità, presso gli sportelli delle biglietterie Nord e Sud che saranno aperte, per l'occasione, dalle ore 11.
Ufficio Stampa

venerdì 5 dicembre 2008

Banda Bagaj: perché il Viminale non ammette i suoi errori?

Riceviamo da Inter Club Banda Bagaj e pubblichiamo
Bisognerebbe avere il coraggio nella vita di dire: “ci siamo sbagliati”.
E invece…
E invece, nonostante quanto accaduto l’anno scorso in occasione di Inter Napoli





















non ci crederete ma la storia si è ripetuta.
anche quest’anno i propositi di osservatorio, prefetti, questori (almeno in questo caso, la società inter non dovrebbe centrare niente)…
i tifosi napoletani c’erano nonostante i divieti (ASSURDI), e come l’anno scorso, invece di essere nel loro settore, erano mischiati con i tifosi interisti.
Oltre ai tifosi napoletani sparsi per lo stadio, gli steward hanno cercato di fare un cordone improvvisato nel 2° anello blu a pochi metri dal nostro settore. Anche quest’anno obbligando gli abbonati di quei posti a sloggiare... cortesemente ma a sloggiare.























…mentre il settore ospiti era chiuso…
A questo punto sorgono spontanee le seguenti domande:

1) Perché proibire agli abbonati dell’Inter di poter cedere abbonamento a residenti fuori milano? Per evitare di cederlo a tifosi napoletani? DECISIONE SBAGLIATA. NOI ABBIAMO CEDUTO ALCUNI DEI NOSTRI A TIFOSI NAPOLETANI, RESIDENTI A MILANO MA NAPOLETANI.
2) Perché proibire la vendita dei biglietti on-line o in banca? Per evitare che li potessero comprare i tifosi napoletani? DECISIONE SBAGLIATA. MOLTI AMICI TIFOSI NAPOLETANI (RESIDENTI A MILANO) LO HANNO ACQUISTATO COMUNQUE.
3) Perché tenere comunque chiuso il settore ospiti quando ci si è resi conto che le misure di “sicurezza” (ma sicurezza de che!?!) adottate non avevano impedito l’arrivo dei tifosi partenopei (cosa ampiamente prevedibile)?
4) Maroni dice che questo sistema funziona e non si torna indietro solo per permettere a qualche spettatore in più di accedere allo stadio. Beh, qui ci sono poche domande da fare. A noi un ministro che parla così ricorda tanto un periodo storico dell’inizio secolo scorso. A voi?
Ci rivolgiamo a tutti i giornalisti (molti di voi si sono anche adoperati ultimamente per dare una mano a noi tifosi per bene e al calcio) e soprattutto a OSSERVATORIO, GOVERNO, OPPOSIZIONE, PREFETTI, QUESTORI:
La fede calcistica non e’ una data di nascita, una citta’ nativa, un indirizzo di residenza. La fede calcistica prescinde da tutto questo. E cosi’ si verifica che tifosi napoletani residenti a Milano entrino allo stadio e tifosi interisti residenti a Lodi, Novara, Como, Lecco, Monza (solo per citare i comuni più vicini) non possano entrare.
MA SI PUO’ CONTINUARE COSI’???
SI PUO’ CONTINUARE A FAR FINTA DI NIENTE???
E poi, se anche non vi importa nulla, ma almeno volete salvare la faccia? Pensate che nessuno si accorga di niente? Siete mai stati all’estero? Avete mai chiesto cosa pensano di VOI e delle vostre assurde decisioni e dei vostri controproducenti provvedimenti?
Ma davvero non vi interessa di essere ricordati per coloro che volendo combattere la violenza, facevano mischiare fazioni di tifoserie opposte negli stessi settori lasciando completamente vuoti alcuni settori? E che per farlo tenevano fuori dagli stadi i tifosi per bene?
Rifletteteci un attimo: il calcio sta morendo a causa vostra.
Bisognerebbe avere il coraggio nella vita di dire: “ci siamo sbagliati”.
Buon lavoro
Virgilio Motta
Inter club Banda Bagaj
info@bandabagaj.it
Virgilio.Motta@a2a.eu

venerdì 21 novembre 2008

Scoppia un palloncino a San Siro? Succede il finimondo

Riceviamo e pubblichiamo
Io credo che la qualità di vita e le ingiustizie subite dai cittadini, soprattutto quelli milanesi (dal vostro punto di vista) riguardino si, la prefettura (che era naturalmente tra i destinatari), ma anche e soprattutto voi amministratori milanesi.
Chiedo scusa, ma insisto nel sostenere che da un paio d'anni a questa parte molti cittadini MILANESI e non solo vedono continuamente e quotidianamente calpestati i propri diritti e vengono trattati come dei delinquenti.
La situazione è talmente esasperata che un paio di domeniche fa mia figlia DI 5 ANNI è stata rimproverata per aver tirato un PERICOLOSISSIMO palloncino gonfiabile (parlo di quelli che si comprano in cartoleria, che si gonfiano a fiato e che non superano i 30 cm di diametro. peso del palloncino 0,0000000000000000000001 mg. velocità di caduta, 0,00000000000000000001 km/h. venti minuti di pianto. Morale: non vuole più venire allo stadio per paura di beccare l'uomo con la canottiera gialla.
E non ditemi che la responsabilità è di quel tizio. Chi ha esasperato quel ragazzo fino a quel punto???
Tutto questo accade nella nostra amatissima Milano con la vostra fantastica, esemplare, ammirevole e invidiabile amministrazione.
Probabilmente le colpe non sono vostre di ciò che accade, ma le spese le fanno i VOSTRI cittadini.
Telefonare al prefetto per chiedere spiegazioni e un cambio di rotta!?!?!?
buona giornata a tutti
Virgilio Motta
Milano
Virgilio.Motta@a2a.eu

giovedì 15 gennaio 2009

Lettera aperta di Banda Bagaj al responsabile Centro Coordinamento Inter Club

Riceviamo e pubblichiamo questa missiva del presidente Massimiliano Rizza a Fausto Sala

Ciao Fausto, resto basito di fronte ai fatti di questi giorni. Ci aspettavamo delle ripercussioni per le nostre proteste, ma sinceramente che qualcuno potesse essere cosi meschino, ci ha lasciato perplessi. Già la multa era ridicola ed infantile, ma arrivare ad avviare un procedimento di diffida (giudicato illegittimo da uno stuolo di avvocati, non solo da noi) è una dimostrazione di pochezza di contenuti e di valori disarmante.
Quello che però ci lascia altrettanto perplessi è il comportamento della struttura della quale tu sei responsabile: il Centro Coordinamento Inter Club.
Ovvio che non attribuiamo al CCIC nessuna responsabilità sull’accaduto, ma in questi mesi dove eravate?Ma ti sembra normale che di fronte ad una sanzione amministrativa elevata al Vice Presidente di un Club, per violazione del regolamento dello stadio, ne tu, ne nessuno del CCIC ci abbia contattato per sentire anche la nostra versione? Ma ti sembra normale che il Vice Presidente di un Club, non possa recarsi nel settore dove hanno posto tutti i soci, per dare una mano ad attaccare lo striscione? La prossima volta che ho bisogno di entrare negli uffici del CCIC al Primo Blu devo fare il biglietto settore ospiti o mi devo aspettare una sanzione amministrativa??? Ma come puoi rimanere indifferente di fronte al fatto che abbiano approfittato della nostra adesione ad una iniziativa del CCIC (abbiamo portato allo stadio 70 ragazzini quel giorno) per incastrare Virgilio? Da mesi gli Inter Club di mezzo mondo ci scrivono per manifestarci solidarietà e appoggio, ma anche per chiedere a noi come reperire i biglietti delle trasferte, se abbiamo organizzato qualcosa per Manchester, quali restrizioni ha imposto l’Osservatorio per quella tale partita, neanche fossimo noi il CCIC; e tutti poi ci pongono la stessa domanda: “ Ma il CCIC che dice? E Fausto Sala che dice?”A noi ci tocca rispondere che Fausto Sala lo conosciamo, ogni tanto ci capita anche di intravederlo, dovrebbe essere ancora il responsabile del CCIC…Abbiamo seriamente pensato, per il prossimo anno, di far versare a voi le 50 quote obbligatorie per l’iscrizione al CCIC ed a noi le restanti visti, i servizi che ormai abitualmente offriamo… In tre anni nessuna telefonata per sapere come andava l’attività del Club o se avevamo bisogno di aiuto per le iniziative allo stadio. Anzi a dire il vero una telefonata qualche mese fa è arrivata. L’hai fatta proprio a Virgilio per chiedergli un favore personale…Io pretendo di sapere cosa pensa in merito a questa vicenda il responsabile del CCIC e pretendo anche che il CCIC si schieri apertamente e pubblicamente in difesa di un vostro iscritto, nonché Vice Presidente di uno dei Club più numerosi di Milano, che sta ricevendo accuse assurde da un personaggio che ha la scrivania a pochi passi dalla tua.
Cordialmente.
Massimiliano Rizza
INTER CLUB
BANDA BAGAJ

N. B. "Il pallone in confusione" è disponibile a ospitare eventuali repliche

giovedì 28 febbraio 2008

recensioni del libro "il pallone nel burrone"


Il pallone nel burrone
Come i maggiori imprenditori italiani hanno portato il calcio al crac
di Salvatore Napolitano e Marco Liguori

Editori Riuniti - febbraio 2004

Sotto il bilancio niente
di Stefano Olivari
E no scusate. Adesso che il Corriere della Sera mette in prima pagina una notizia contro i grandi potentati finanziari, nel caso Moratti, vendendo il meccanismo delle plusvalenze calcistiche come una novità, non si può urlare 'Dove eravate?' a tutta la stampa italiana. Perché molti cronisti, non necessariamente eroi, delle acrobazie finanziarie dei grandi club parlano e scrivono da anni, guardati con compatimento da chi ha un registro etico solo: giustificare i giocatori almeno fino a quando non vengono ceduti all'estero (in quel momento si trasformano in mercenari), massacrare l'allenatore, esaltare la generosità e la signorilità del presidente.
Chi si ricorda dei presidenti che stringevano un 'patto fra galantuomini' con Calisto Tanzi? Qualcuno di loro rischia di fare la stessa fine. O dei giornalisti che consideravano Cragnotti un genio, un innovatore che avrebbe fatto ricadere i frutti del suo lavoro sull'obsoleto mercato italiano? Se hanno investito in azioni Lazio o in bond Cirio rischiano di dover lavorare fino a 102 anni, con o senza scalone. Troppo facile sparare adesso sui due maghi della finanza (la loro), la cui meritata caduta in disgrazia è stata amplificata dalla visibilità calcistica. Molti altri dirigenti del pallone, da Moratti a Galliani, si sono comportati e si stanno comportando, per quanto riguarda le attività sportive, secondo gli stessi schemi morali e contabili, fra plusvalenze gonfiate, operazioni oscure, giocatori strapagati, mediatori che appaiono e scompaiono. Da società a società cambiano solo le dimensioni del buco, e qualche tecnica ragionieristica, ma la logica è una sola: mascherare il disastro finanziario e rimandare al futuro il pagamento dei debiti reali. Siamo preparati all'ondata di libri sul crack del calcio, anche perchè presto molte squadre potrebbero essere solo un ricordo, e non vorremmo che quanto uscirà venga confuso con il lavoro che Marco Liguori e Salvatore Napolitano fanno da anni, con pochissimi imitatori, cercando di spiegare che cosa stia dietro allo sport più amato dagli italiani. Un lavoro ben conosciuto dai lettori del Manifesto, di Diario, del Sole e di molte altre testate (ci mettiamo anche Indiscreto? E mettiamocelo), che è stato fissato in un libro uscito nel 2004 ma attualissimo, 'Il pallone nel burrone - Come i maggiori imprenditori italiani hanno portato il calcio al crac' (Editori Riuniti), che spiega nel dettaglio, con tecnicismi ridotti al minimo e soprattutto con la necessaria ironia, il modo in cui manager e capitani d'industria da decenni riveriti e omaggiati dai giornali e tivù (anche perchè spesso li possiedono o possono intervenire su chi li possiede), oltre a ingannare il parco buoi della borsa italiana, hanno beffato tifosi, creditori e più di tutti lo Stato italiano, con artifici contabili che gli autori, in pura funzione antiquerela, definiscono 'creatività'.
Il libro è diviso in nove capitoli, mettendo insieme fatti e analisi ignoti alla maggioranza dei giornalisti sportivi, in parecchi casi facenti parte del parco buoi della Borsa italiana, tanto che in molte redazioni fino a qualche mese fa si parla più di covered warrant che dei pezzi da scrivere. Liguori & Napolitano raccontano i retroscena dell'asse Juventus-Milan, spezzatosi dopo le note vicende, e del falso mito delle grandi società che potrebbero vivere di diritti televisivi, se solo stessero da sole. Poi si va a parare sul mondo di Capitalia e su tutta la galassia di società da essa di fatto controllate o che comunque da Capitalia hanno ricevuto prestiti (ma guarda, ci sono anche Inter e Milan...). Viene spiegato il meccanismo delle plusvalenze, ricordando casi clamorosi, con quasi tutte le grandi società nella duplice veste di vittime e complici. In uno dei capitoli più sorprendenti, almeno per chi parla per sentito dire, si prende un bilancio ufficiale della Juventus, pronta a sparare sul doping finanziario degli altri ma indulgente verso sè stessa, e si nota come sia stato aggiustato solo tramite plusvalenze immobiliari con una sua controllata. La materia sembrerebbe ostica, ma Liguori & Napolitano scrivono per il pubblico, dedicando la parte in assoluto più esilarante, pur nella sua gravità (non dimentichiamo che lo Stato creditore alla fine sarebbero i cittadini), alla Lazio dell'epoca. Non tanto per i debiti e i problemi, quanto per gli effetti reali dello strombazzato, dai giornali di area, piano Baraldi, che non è stato altro che la riproposizione del vecchio schema: rimandare il pagamento dei debiti al futuro, mettendo delle toppe al presente facendo opera di convincimento sui creditori principali (i giocatori). Con la semplice lettura del bilancio, poi, e non per mezzo di una seduta spiritica, si nota che l'ultimo bilancio firmato da Cragnotti, il 30 giugno 2002, aveva evidenziato perdite per 103 milioni di euro circa, mentre in quello della stagione successiva, nonostante il regalo del decreto spalmaammortamenti, le perdite erano a quota 121.
Il libro è da leggere tutto di fila, perchè fatti e personaggi di cui ci occupiamo in maniera frammentaria, messi insieme costituiscono un affresco del marcio italiano da tramandare ai posteri, una specie di Cappella Sistina del cialtronismo, con il calcio nella sua consueta veste di metafora (tanto può essere metafora di tutto). Le banche che sostengono personaggi impresentabili, i misteri della ormai defunta (?) Gea, i mille processi, oltre ai trucchi per rendere presentabile una situazione contabilmente e moralmente da buttare già da anni, con la malafede che in molti casi si mescola all'incompetenza. Il libro conferma almeno uno dei luoghi comuni ai quali ci aggrappiamo, per mascherare la nostra ignoranza, e cioè che nell'ultimo decennio Massimo Moratti sia stato in Italia quello che ha perso di più a livello finanziario con il calcio. Segno di passione, visto che il peso maggiore delle ricapitalizzazioni è gravato sulle sue spalle, ma anche modello gestionale da studiare nelle scuole per non seguirlo. Insomma, non c'era bisogno di aspettare il gennaio 2007 per capire come i grandi club mettano a posto i bilanci, con metodi ai confini della realtà e spesso anche della legge. Liguori & Napolitano spiegano perchè il calcio italiano sia arrivato a questo punto di non ritorno, e già questo basterebbe per consigliare la lettura del libro, anche se ovviamente non si parla delle ultime due stagioni. Senza invettive, senza pistolotti politici (non a caso si parla molto di Milan ma poco di Berlusconi), con la forza di tanti piccoli particolari, si spiega poi perchè non potranno essere i dirigenti attuali a rifondarlo: per questo andrebbe regalato agli improvvisati risanatori, mendicanti gli aiuti di Stato, ed ai cantori delle loro gesta. Per liberarci di un certo modo di gestire la Juventus sono servite tonnellate di intercettazioni del dirigente che si credeva il più furbo dell'universo, quello che avendo la squadra nettamente più forte taroccava lo stesso il campionato, per le altre grandi società siamo ancora fermi al giornalismo da bar, quello del genere 'Moratti, Berlusconi e Sensi con i loro soldi possono fare quello che vogliono'. Speriamo in una seconda edizione, ma anche in un calcio senza campionati e partite già scritti.
Tratto da http://www.settimanasportiva.it/Terza/175/pallone, Libri veramente letti, 19.01.07

Il mondo del calcio assomiglia sempre più al Titanic. Mentre il transatlantico si avvicina pericolosamente agli scogli, a bordo si continua a far festa, tanto la nave è inaffondabile. Questo è ciò che pensano i dirigenti del calcio che sono anche tra i maggiori imprenditori italiani.
tratto dalla redazione RAI di "Chetempochefa", maggio 2006

Uno spettro si aggira per il mondo del pallone: lo spettro della licenza Uefa! Dall'edizione 2004-2005 chi vorrà partecipare alle competizioni internazionali dovrà avere i conti in ordine, pena l'esclusione immediata, comminata dal massimo organismo del calcio europeo: "Così è, se vi pare", avrebbe detto Luigi Pirandello!
Un vero guaio per le società italiane; ma, come si dice, la speranza è ultima a morire. E il cappello a cilindro dei dirigenti del nostro calcio è una batteria di allevamento di conigli in piena regola: molti ne sono usciti, altrettanti aspettano il loro turno.
A caccia del toccasana, il presidente federale, Franco Carraro, è stato categorico, parlando il 15 novembre 2003 in un albergo romano: "Rivedremo le norme economiche per l'ammissione delle squadre ai campionati, le adegueremo a quelle che richiederà l'Uefa per le coppe. Le nuove norme dovranno essere poi fatte rispettare in primo grado dalla Covisoc, che stiamo per rifondare, e in appello da un nuovo organismo esterno alla federazione, che chiamerei Corte di appello economico finanziaria".
Strano che la "rifondazione carrarista" non abbia previsto anche una sorta di Cassazione economico finanziaria: un terzo grado di giudizio non guasta mai, anche perché, alla Figc, ne hanno introdotto persino un quarto nel caso Catania dell'estate 2003. È impossibile criticare i proponimenti del numero uno federale, ma è altresì doveroso ricordare che il suo è un ritornello troppe volte pronunciato dai capi dell'arte pedatoria.
Meno di un anno prima, e cioè il 27 dicembre 2002, lo stesso Carraro aveva dichiarato solenne al Corriere della Sera: "Tagliamo le spese per salvare il calcio. Il 2002 è stato orribile, ma io sono ottimista: il nostro sport piace sempre di più e troveremo una soluzione". Mai giudicare orribile qualcosa, perché, se la situazione si deteriorasse ulteriormente, verrebbero inevitabilmente a scarseggiare gli aggettivi per descriverla ancora.
E il 2003 è stato senz'altro peggiore del 2002. dunque, norme nuove, certe, rigorose e uguali per chiunque. "Tutto molto bello" commenterebbe Bruno Pizzul, telecronista di centinaia di partite. C'è, tuttavia, il solito particolare da rilevare, ben sapendo di essere purtroppo venuti a noia: le regole esistono già e sono ferree, però le parti più indigeste sono perennemente accantonate. Lunedì 28 aprile 2003 il Consiglio federale aveva approvato le nuove NOIF [Norme Organizzative Interne Federali, ndr]; e, nella sede della Federazione, il tono era ultimativo: "Il prossimo luglio saranno certamente applicate!" Ma di certo c'è solo la morte. E infatti passarono soltanto poche settimane per veder procrastinare al luglio 2004 l'entrata in vigore dei punti maggiormente rigidi, prescritti dall'ultimo testo delle NOIF all'articolo 89: l'assenza al 30 aprile di debiti verso Erario, tesserati ed Enti previdenziali nonché il rispetto di due parametri; quello classico del rapporto tra i ricavi e l'indebitamento non inferiore a tre e quello nuovo, costituito da un altro rapporto, stavolta tra il patrimonio netto e l'attivo patrimoniale, che deve risultare non inferiore a 0,5. Se le regole fossero state applicate per davvero, i tifosi avrebbero dovuto cercarsi un altro passatempo domenicale (...)
tratto da: http://sapere.virgilio.it/extra/078/licenza.html
Pag. 197, Euro 12,00 – Editori Riuniti (Primo piano) ISBN 88-359-5489-4



"Il pallone nel burrone": ma il calcio è ancora un gioco?
Salvatore Napolitano e Marco Liguori, autori del saggio, ci spiegano perché lo sport più popolare in Italia sia diventato un affare colossale e come si siano potuti aprire baratri finanziari impensabili nelle casse delle maggiori società. E la domanda che ci si pone inevitabilmente è questa: ci si può ancora appassionare per quello che ormai è prevalentemente un business? Leggiamo le loro risposte e cerchiamo di imparare ad essere “tifosi consapevoli”.
Avete scritto un libro su di un argomento molto importante e di stretta attualità, ma di cui i giornali parlano davvero poco: perché avete scelto proprio un tema come questo?
Perché ci sembrava che il sistema stesse andando allegramente verso lo sfascio economico-finanziario: così, poco più di un anno e mezzo fa abbiamo deciso di occuparcene, prima sul settimanale Bloomberg Investimenti, poi sul Manifesto, dove scriviamo tuttora, per verificare se la nostra impressione fosse vera. I dati sono ormai sotto gli occhi di tutti, ammesso che li si vogliano vedere.

Perché allora i quotidiani danno poco spazio a questo problema?
Cominciano a occuparsene progressivamente di più e in maniera meno facilona.
Tanta strada c'è ancora da fare, perché probabilmente il calcio funge come una sorta di tranquillante di massa e dunque a molti appare poco opportuno indagare a fondo, anche perché tanti tifosi danno l'impressione di non voler sapere. E i tifosi sono anche lettori, oltre al fatto che diversi proprietari di squadre contano, e molto, nei giornali.

Non vorrei che raccontaste l'intero libro, ma in sintesi quali possono essere le cause di fondo di tali voragini economiche?
Le grandi squadre storiche Juventus e Milan e, un gradino sotto, l'Inter, hanno spinto la competizione dal punto di vista dei costi a livelli tali che solo chi ha le spalle protette dal punto di vista economico-finanziario e politico può reggere a lungo. Si scrive Juventus, Milan, Inter, ma si legge Fiat, Fininvest, Saras-gruppo Pirelli.

Grandi società, grandi imprenditori, eppure si contano a decine di miliardi i debiti societari: ci sono responsabilità anche da parte dei tifosi?
L'unica colpa dei tifosi, se si vuol definirla tale, è quella di appassionarsi ancora a un gioco impari. Ma ormai sono stati ridotti, soprattutto quelli che vanno allo stadio, a un ruolo marginale: Juve e Milan incassano ormai solo circa il 15% del loro fatturato totale dalla vendita dei biglietti e degli abbonamenti. Se però si convincessero che, lasciando vuoti gli stadi, scapperebbero anche tv e sponsor, potrebbero far valere il loro potere per chiedere una competizione più equa.

Perché sono state fatte delle leggi apposite? che cosa c'entra con uno sport il mondo della politica?
Le leggi vengono fatte per mettere toppe ad un vestito sdrucito e per non affrontare radicalmente la questione. Il calcio non è più da tempo uno sport ma un puro affare economico, un 'business' per dirla con un anglicismo in voga; la politica è entrata nel momento in cui lo spettacolo si è trasformato, come detto in precedenza, in tranquillante di massa. Senza dimenticare che il presidente del Consiglio è contemporaneamente il presidente del Milan, che utilizza come suo biglietto da visita vincente. E che il presidente della Federcalcio è anche un banchiere, siede infatti sulla poltrona di presidente di Mcc, banca d'afffari del gruppo Capitalia.

Vedete qualche via d'uscita o ormai il sistema è in sé malato?
La via d'uscita sarebbe quella di redistribuire le risorse e di slegare le squadre dalla forza dei loro azionisti di maggioranza, riducendo al contempo i costi in modo drastico. In altre parole, chi oggi ha il potere dovrebbe accettare l'idea di cederne gran parte: non è questa la direzione verso cui si va; basta vedere la velocità con la quale Juve, Milan e Inter hanno rinnovato con Sky il loro contratto per la cessione dei diritti tv criptati, in scadenza il 30 giugno 2005.
intervista rilasciata a http://www.librialice.it/news/primo/napolitano-liguori.htm

martedì 19 gennaio 2010

L’addio di Pandev e Ledesma costa 35,7 milioni alla Lazio

A tanto ammonta il danno stimato dai piccoli azionisti che sono pronti a preparare azioni legali contro la società per accertare le eventuali responsabilità del presidente Lotito e degli altri componenti del Consiglio di gestione

Piccoli azionisti Lazio sul piede di guerra contro il presidente e azionista di maggioranza Claudio Lotito. Dopo aver visto perdere Pandev attraverso la decisione del Collegio arbitrale Figc, che ha svincolato il giocatore acquisito a parametro zero dall’Inter, ora i soci minoritari temono la risoluzione analoga anche per Ledesma. Infatti, c’è il rischio concreto che il prossimo 26 gennaio il Collegio stabilisca lo “stato libero” del centrocampista argentino. In una sua recente nota, di cui “il pallone in confusione” ne è venuta in possesso in esclusiva, l’avvocato Massimo Rossetti quantifica la perdita. «E’ evidente l’impatto gravoso del lodo Pandev – scrive il legale – nonché di altro e analogo lodo (vedi caso Ledesma)». E a quanto ammonta il danno patrimoniale? «Consiste sia nel danno emergente (valore residuale di Pandev a bilancio al 30 giugno 2009 del calciatore 1.000.000 di euro circa; per Ledesma tale valore ammonta a circa euro 1.700.000) sia soprattutto nel lucro cessante consistente nel mancato introito alla società del prezzo di cessione del calciatore o dei calciatori ad altra(e) società». Rossetti specifica che «per stessa ammissione del presidente della Lazio, la quotazione di mercato di Pandev era stata valutata in euro 18.000.000 e di Ledesma in 15.000.000». Il totale così stimato ammonta a 35,7 milioni. Le cifre non comprendono «ulteriori importi a carico della società per risarcimento danni all’uno e all’altro dei sunnominati giocatori».

Anche nel caso in cui Ledesma rinunciasse all’arbitrato si potrebbe creare un danno per la società biancoceleste. «E’ opportuno osservare per quanto riguarda Ledesma – sottolinea l’avvocato – che pur ammesso che il calciatore dia il proprio assenso alla cessione del suo contratto nel mese di gennaio corrente anno a titolo oneroso ad altra società, rinunciando al procedimento arbitrale, tuttavia anche in questa ipotesi trattandosi quasi certamente di una “svendita”, considerata la situazione venutasi a creare, si determinerebbe in ogni caso un danno notevole per la Lazio e per i suoi azionisti». Nel caso in cui, prosegue l’avvocato, «trovasse definitiva conferma che i danni in parola siano stati causati da comportamenti illegittimi di chi amministra la società, l’amministratore o gli amministratori ne dovrebbe/dovrebbero rispondere sia alla società sia ai suoi azionisti». Il potere-dovere di controllo sostanziale sulla corretta amministrazione della Lazio, che ha scelto il sistema dualistico invece di quello tradizionale con il consiglio di amministrazione, spetta al Consiglio di sorveglianza. Proprio all’organismo di vigilanza lo scorso 28 settembre l’avvocato Rossetti e l’azionista Alfredo Parisi avevano spedito una raccomandata formulando «espressa e formale riserva di ogni diritto e azione, nella qualità di azionisti, nel caso in cui si fossero verificati i danni in questione a causa di atti e/o fatti addebitabili alla gestione societaria». Al Consiglio di sorveglianza compete di promuovere l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del Comitato di gestione «ove si verifichino danni per effetto di una non corretta amministrazione» spiega Rossetti. L’azione di responsabilità può anche essere promossa dall’assemblea dei soci, convocata dai detentori di almeno il 2,5% del capitale sociale, poiché la Lazio è quotata a Piazza Affari. «L’azione, se deliberata con il voto favorevole di almeno 1/5, cioè il 20% del capitale sociale, comporta la revoca dall’ufficio degli amministratori contro i quali l’azione è proposta». La denuncia al Consiglio di sorveglianza di fatti censurabili può essere fatta da ciascun socio.

Da questo quadro emerge chiaramente, conclude Rossetti, «per gli azionisti di minoranza di una società quotata come la Lazio, per di più retta dal sistema dualistico che svuota, di fatto, di diritti e di poteri l’assemblea dei soci, l’esigenza di associarsi tra loro, aderendo alla costituenda Associazione Federsupporter che possa così rappresentare e tutelare al meglio i loro diritti e interessi».

Marco Liguori

RIPRODUZIONE (ANCHE PARZIALE) DELL'ARTICOLO CONSENTITA PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE: IL PALLONE IN CONFUSIONE

Nella foto, tratta da laziohellas.gr, Christian Ledesma

Per contattare Federsupporter: Alfredo Parisi alfredoparisi@virgilio.it

lunedì 15 dicembre 2008

Caro prezzi a San Siro: la contestazione di Banda Bagaj

Il club di tifosi nerazzurri ha esposto ieri uno striscione in cui ha raffrontato il prezzo del settore popolare: Inter batte Milan 27 a 17 euro

Prosegue la contestazione di Banda Bagaj contro il caro-biglietti allo stadio Meazza. Un'ora prima dell'inizio della partita Inter-Chievo di ieri il club nerazzurro ha esposto il seguente striscione (nella foto spedita da Banda Bagaj - cliccare per ingrandire) ironico ma molto eloquente e civile: «Per lo stesso seggiolino pago più di mio cugino: Milan 17 euro, Inter 27 euro». Il prezzo si riferisce al secondo anello blu, quello dove ci sono le curve delle due squadre milanesi. Virgilio Motta, portavoce di Banda Bagaj, spiega a "il pallone in confusione" che «lo striscione è stato rimosso dopo alcuni minuti». Il gruppo sta conducendo da tempo una battaglia contro i prezzi elevati imposti dall'Inter in questa stagione. «Non vogliamo essere assolutamente polemici - ha concluso Motta - ma vogliamo soltanto evidenziare che i costi dei tagliandi dei posti un tempo definiti "popolari", in un periodo di crisi economica come quello attuale, sono eccessivi. Per spiegare meglio questo concetto, li traduco nel vecchio conio: Inter batte Milan 52mila a 34mila lire».
Marco Liguori
(Riproduzione riservata, consentita soltanto dietro citazione della fonte)
Per contattare Banda Bagaj: info@bandabagaj.it http://www.bandabagaj.it/
Nota del direttore per i tifosi
I tifosi che desiderassero segnalare il problema del rincaro dei biglietti nello stadio della propria squadra possono scrivere all'email de "il pallone in confusione" marco_liguori@katamail.com

venerdì 21 novembre 2008

Se andare allo stadio è più difficile che uscire a cena con Obama

Riceviamo e pubblichiamo da Virgilio Motta questo servizio di Tommaso Della Longa pubblicato sull'ultimo numero del mensile "La Voce del Ribelle" diretto da Massimo Fini.
Motta ha espresso nella sua email la sua esasperazione per i divieti imposti dal ministero dell'Interno, in particolare anche quelli stabiliti dal Prefetto di Milano per Inter-Napoli: «Vi giuro che sono al limite. Ora non vale più neanche l'abbonamento x acquistare i 2 biglietti». E aggiunge: «Ormai è più facile ottenere udienza dal Papa o uscire a cena con Obama piuttosto che entrare allo stadio»

Ultras e Stato di polizia

Oggi la repressione tocca le tifoserie e crea un precedente.
Chi saranno i prossimi a essere criminalizzati?


Servizio di Tommaso Della Longa
In Italia certe parole diventano puntualmente il simbolo paradigmatico di interi fenomeni. Si dice “il movimento” e si pensa subito agli studenti in lotta. Si usa l’aggettivo “estrema” vicino alla parola sinistra o destra, e il pensiero va subito a fazioni border-line che si muovono a metà strada fra il sistema democratico e l’eversione. Si parla del terrorismo internazionale e, in linea con l’equazione tanto cara a George W. Bush, se ne fa un tutt’uno con la religione islamica come se tutti i seguaci di Maometto fossero aspiranti uomini bomba. E poi, nel Belpaese angosciato dalla poca sicurezza e dalle mille emergenze quotidiane raccontate dai media, c’è una parola che adombra un pericolo costante: ultrà o ultras e subito la mente viene portata a teppismo, furti, devastazioni, guerriglia urbana. È proprio da qui, dall’accezione della parola “tifoso” in Italia, che bisogna partire per capire il motivo dell’interesse per il mondo delle
curve.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: gli ultras non sono una categoria, e ultras non è un’etichetta che si può affibbiare tout court a chiunque entri dentro un impianto sportivo per sostenere la propria squadra. Gli ultras non sono assimilabili a categorie sociali come quelle
degli operai, degli studenti, degli ingegneri o chissà cos’altro. Il tifoso, l’ultras, l’ultrà è solo uno qualsiasi di noi che mostra un attaccamento estremo, radicale alla propria squadra, alla propria città, ai proprio colori. E ovviamente tutto questo non significa che si tratti di una persona necessariamente violenta e pericolosa. L’ultras è il nostro vicino di casa, è l’operaio, l’avvocato, il giornalista, lo studente, il disoccupato, il papà, l’autista. Per dirla con un luogo comune, è l’uomo della porta accanto.
Allora, evidentemente, c’è qualcosa che non va. Se ultras lo può essere anche un libero professionista, l’accezione corrente è sbagliata. Forse, o probabilmente, è sbagliata in mala fede. E più avanti ne scopriremo anche il motivo. Di fatto, però, agli occhi della classica casalinga di Voghera avere una passione per la propria squadra appare un demerito. E quando
magari scopre che il “bravo ragazzo” che conosce da anni è un tifoso radicale, cambi immediatamente la sua valutazione. Non è più così “bravo”. È una specie di delinquente a piede libero, che chissà cosa combina o cosa potrebbe combinare. Non lo ripete, sempre, anche la televisione?
Ecco fatto: il tam tam mediatico ha funzionato, il lavaggio del cervello è andato  a segno. Proprio perché il mondo delle curve è stato dipinto come un luogo infernale popolato da reietti della società, l’ultras si ritrova a calamitare su di sé tutto il peggio, prestandosi inconsapevolmente a una strumentalizzazione continua. Che, come vedremo meglio più avanti, ha diverse manifestazioni e differenti scopi, di maggiore o minore portata, a breve o a lungo termine.
All’inizio della scala c’è la manipolazione spicciola, quella che è stata ben definita, anche in altri ambiti, “arma di distrazione di massa”. Per esempio: l’uso del tifo organizzato per non soffermarsi su altro, come nel caso della farsa mediatica dei tifosi napoletani in trasferta a Roma per la prima giornata di campionato, coi disordini gonfiati ad arte per monopolizzare l’attenzione e mettere in ombra l’avvio (si fa per dire, visto l’immediato rinvio per irregolarità procedurali) del processo per l’omicidio di Gabriele Sandri da parte dell’agente di polizia Luigi
Spaccarotella.
A un livello ben più alto c’è invece l’utilizzo degli ultras come pretesto per assumer provvedimenti di carattere generale, che investono o si preparano a investire l’intera società. Il processo mediatico e la condanna morale degli ultras che divengono, per dirla in termini giuridici, il “precedente” su cui basare leggi liberticide, anti-costituzionali e, addirittura, contro il senso comune. Una sorta di laboratorio in cui si cominciano a sperimentare le dinamiche autoritarie del Grande Fratello, giustificando in nome dell’ordine pubblico lo Stato di polizia e il controllo su tutto e tutti. Un esperimento che, essendo fatto innanzitutto sulla pelle della “peggio gioventù”, non alza polveroni e lascia mano libera, permettendo operazioni sotterranee che in seguito, però, potranno andare a colpire qualunque altro segmento della società.

Le leggi speciali che diventano la normalità
Ogni volta che si sente parlare di “leggi speciali”, soprattutto qui in Italia, bisognerebbe subito diffidare. Un provvedimento speciale, infatti, dovrebbe non solo essere legato a eventi particolari e di estrema gravità, ma restare comunque una misura eccezionale e temporanea, che viene abrogata non appena si è usciti dalla fase di massimo pericolo. Ma non è così. Un
esempio su tutti? Le leggi speciali approvate durante gli anni di piombo. Trenta anni dopo sono ancora vive e vegete. E soprattutto attivissime. Eppure, fortunatamente, per le strade della nostra nazione non ci si spara più per ragioni politiche. Non ci sono più attentati e agguati reciproci.
Ancora oggi, però, esistono divisioni della polizia politica che hanno sostanzialmente mano libera nel colpire chiunque non abbia posizioni moderate. Ci sono leggi che colpiscono esclusivamente le idee o i simboli. Ci sono, ancora, normative che danno carta bianca allo Stato nel controllare il cittadino.

La grande leva della paura
Entrati nel Terzo Millennio, per giustificare il controllo globale ci siamo trovati davanti a una vera e propria campagna mediatica mirata a instillare nei cittadini la paura, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Paura del terrorismo. Paura delle epidemie e delle nuove malattie. Paura del vicino di casa. Paura di camminare per la strada. Come è stato possibile tutto ciò? Semplice: continui richiami in televisione ad assassinii, a morti improvvise, a stupri, a rapine. Tutti modi per inculcare nella testa di ogni bravo cittadino l’idea, e il bisogno, di maggiore sicurezza, da ottenere a qualsiasi costo. Più controllo, più ordine. Nelle nostre strade, oggi, vediamo le mimetiche verdi dell’esercito. Ma forse è quello che non vediamo, la parte più preoccupante. E qui si torna ai famigerati ultras.
Come abbiamo già detto, i provvedimenti speciali hanno come incubatore preferito il mondo delle curve, quel mondo che difficilmente qualche politico o qualche istituzione pubblica difenderà mai. Ogni governo che è rimasto per più di qualche mese a Palazzo Chigi ha colpito il mondo del tifo. La prima operazione è stata la destrutturazione: colpire il tifo organizzato, gli esponenti dei gruppi, quelli che ogni settimana mettevano in piedi una macchina organizzativa fatta di riunioni, appuntamenti, coreografie, stadio. In pratica, si è incominciato a criminalizzare quelli che stavano dietro uno striscione specifico, che si prestava alla strumentalizzazione. Ecco le diffide, ecco le perquisizioni preventive. Siccome domani tu potresti fare chissà che cosa, io intanto stanotte vengo a casa tua, ti metto a soqquadro l’abitazione e ti faccio capire che è meglio stare attento. Oppure, io polizia ho una lista di nomi di persone che sono andate in trasferta in un certo posto, qualcuno ha creato problemi, e allora cosa faccio? Io Stato “diffido” tutti. La diffida, ovvero il Daspo, acronimo di “divieto di accedere a manifestazioni sportive”, esiste dal 1989.
Di cosa sia, di come venga usato, e del suo stesso fondato sospetto di incostituzionalità, parliamo diffusamente nell’intervista che segue, con l’avvocato Lorenzo Contucci. Basti dire, qui, che la diffida è un’arma con cui è stato colpito senza remore o distinzioni il mondo degli stadi. Uno strumento messo in mano alle questure e lasciato al loro libero arbitrio.
Le questure hanno carta bianca nel colpire chiunque. E se domani lo stesso provvedimento, la stessa logica fosse spostata nel campo delle manifestazioni politiche o sindacali?
Per non parlare poi dell’introduzione del famigerato “arresto in flagranza differita”: un controsenso in termini, visto che già la parola stessa di flagranza significa che qualcuno è stato colto con le mani nel sacco. L’aggiunta della “differita” è solo un modo, molto contestato dagli stessi giuristi, per colpire gli stadi, con la traduzione immediata in carcere, e chissà domani chi altro.
Ma non è finita qui. Dopo la morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, sull’onda mediatica dello sdegno costruito a tavolino per gli scontri tra catanesi e palermitani, abbiamo assistito a un inasprimento delle misure contro gli ultras. Vietate la maggior parte delle trasferte.
Vietati gli striscioni non ignifughi (!?). Vietata la vendita dei biglietti se non dietro presentazione di un documento. Chiusura dei settori ospiti (creando una pericolosa vicinanza nei settori “normali” tra tifosi di fede opposta).

“Si comincia a stabilire chi può entrare negli stadi. Domani lo si potrà fare coi concerti. E poi coi raduni di ogni altro tipo”
Praticamente si è sancito il principio che una minoranza di facinorosi può decidere per tutta l’Italia e che, forse, conviene avere un po’ di violenza da mettere in prima pagina per tenere buoni gli italiani e indurli a sollecitare maggiore sicurezza. Ci sarebbe da chiedersi se tutto questo ragionamento possa essere applicato all’esterno. L’equazione sarebbe semplice. Visto che davanti alle discoteche ci sono le risse o in autostrada ci sono gli ubriachi che fanno gli incidenti, perché non introdurre le autostrade e le discoteche “a porte chiuse”? Oggi, in ogni
stadio italiano, per esporre uno striscione c’è bisogno del via libera della procura tramite un fax mandato almeno due giorni prima della partita.
Oggi, non possono più entrare i materiali preparati per le coreografie. Oggi, gli stadi italiani stanno diventando sempre più grigi e silenziosi. Il controllo e la repressione senza distinzioni stanno distruggendo dalle fondamenta il tifo organizzato, con due gravi conseguenze: la scomparsa dei gruppi strutturati, favorendo così gruppetti di cani sciolti incontrollabili, e l’allontanamento dagli stadi di famiglie e bambini. Se per andare allo stadio con mio figlio devo subire una trafila da controlli anti-terrorismo, finisce che lascio perdere.
E anche le ultime notizie che ci arrivano sono tutt’altro che confortanti. Dopo i fatti di Bulgaria-Italia (e ci sarebbe da chiedersi quali “fatti”, visto che la maggior parte delle foto che sono arrivate da noi erano di tifosi bulgari e non di italiani, come detto dai media e dagli
imbarazzatissimi politici), il presidente della Figc Giancarlo Abete ha fatto sapere che non ci sarebbero più stati biglietti per le partite dell’Italia all’estero. Ma come? Se pure fosse confermata la versione ufficiale, bastano 144 (il numero dei biglietti venduti a Sofia) facinorosi
per togliere a tutta l’Italia la possibilità di seguire i nostri azzurri?
Poi, la perla finale che avevamo anticipato sul numero scorso: la carta del tifoso. A cosa serve? È un sistema, spiegano dal Viminale, per “fidelizzare sempre più i tifosi ai loro club e, nello stesso tempo, per emarginare le frange più violente del tifo. Una specie di telepass che consente
l’ingresso agevolato negli stadi”. Peccato che non dicano a chiare lettere cosa si nasconde dietro a tutto questo. Per avere la “tessera” io normale cittadino devo fare richiesta alla società che, però, deve chiedere il permesso alla questura del luogo. A decidere chi sono i buoni e chi sono i
cattivi, dunque, non sono le società sportive. È la polizia. E se io sono già nella sua lista nera del Viminale, come faccio a uscirne?
Si comincia così. Si comincia a stabilire chi può entrare e chi non può entrare negli stadi. Domani lo si potrà fare coi concerti. E poi coi raduni di ogni altro tipo. E poi con gli spostamenti individuali. Vuoi andare da qualche parte? Chiedilo alla questura. Senti, preventivamente, se è d’accordo oppure no. O se è meglio che tu te ne resti a casa, in nome dei
supremi interessi dell’ordine pubblico.

Quando l’aggregazione giovanile fa paura
I giovani, si sa, fanno sempre paura a ogni sistema di potere. Ragazzi erano quelli di Budapest che nel ’56 hanno sfidato l’Urss, come studenti erano quelli che nel ’68 hanno combattuto per la libertà di Praga. Il movimento del ’68, le lotte del ’77, gli universitari degli ’80, i figli del riflusso e poi successivamente della caduta del Muro di Berlino del 1989. Per non parlare poi delle avanguardie culturali e di pensiero, come nel lampante caso del Futurismo e dell'impresa di Fiume o in quello della rivoluzione cubana capeggiata da Fidel Castro e Ernesto “Che” Guevara. Anche oggi dai giovani (molte volte anche ultras) partono le rivolte: a Budapest contro il premier liberal-liberista Ferenc Gyurcsány, a Belfast contro l’occupante britannico, a Parigi nelle banlieue, a Gaza contro i carri armati israeliani. Il minimo comun denominatore di tutti questi avvenimenti è la gioventù dei partecipanti alla rivolta, alla lotta, alla guerra, alla guerriglia, alla rivoluzione.
Ci sono state alcune generazioni che hanno combattuto per qualcosa in cui credevano. Generazioni che sono cresciute forti, sane e mentalmente libere. Comunque sia, con lo sguardo rivolto al futuro, con la faccia rivolta all’insù. Storicamente, invece, le generazioni di mezzo sono sempre state quelle frustrate, che non avevano nulla per cui lottare. Magari cresciute
nella pace e nella prosperità, ma di contro vissute nella luce, indiretta, dei racconti dei fratelli maggiori. Generazioni senza un punto cardine su cui costruire la propria vita. Basti pensare ai tanti dopoguerra, ai post-rivoluzionari, a quelli che sono nati in una situazione totalmente
“normalizzata”. Rabbia, frustrazione e soprattutto poca consapevolezza del futuro, con la scomparsa di una visione libera e d’insieme.

“Lo Stato reprime, comprime le spinte giovanili, pretende di normalizzare tutte le situazioni anomale.”
Dalla fine degli anni ’50 (e forse anche da prima) ai giorni nostri, esiste un solo movimento di aggregazione giovanile che ha continuato a vivere, a passarsi il testimone, ad avere nuovi capi e a poter contare su migliaia di presenze. Il mondo ultras. Ogni domenica, dal calcio all’hockey su
ghiaccio, le gradinate di stadi e palazzetti dello sport vengono riempite da giovani. Ragazzi con i propri eccessi, ma fedeli alla propria tribù. Con i propri riti, le proprie battaglie, fatte di feriti e prigionieri, il proprio codice d’onore, fatto di regole non scritte. Certo, sono tribù che si affrontano a viso aperto e senza troppi problemi. Gruppi che canalizzano la propria rabbia, simulando una guerra che non c’è più, una rivoluzione ormai tramontata da decenni. Ma quello che più importa è che sono ragazzi che vivono di passione, attaccamento alla bandiera, amicizia, fedeltà. Giornate passate a pensare slogan e produrre coreografie (quando si potevano fare). Piani per colorare la propria seconda casa, la curva. Serate passate a ridere e scherzare con tanto di “reduci” che raccontano le battaglie del passato, del presente e del futuro. Certo, qualcuno inorridirà davanti ad affermazioni di questo tipo, ma soprattutto oggi, nella società basata sul consumismo e la lobotomizzazione televisiva dei cervelli, chi ha il germe della ribellione sta dalla parte giusta. Il problema, semmai, sarebbe incanalare sulla strada corretta e con qualche eccesso in meno forze così importanti.
Lo Stato non può che aver paura di tutto questo. E allora – invece di infondere nei più giovani la fiducia nelle Istituzioni, invece di mostrare loro la buona amministrazione della res publica, invece di far capire che alla fine le forze di polizia possono essere veramente amiche del cittadino – lo Stato reprime, comprime le spinte giovanili, pretende di normalizzare tutte le situazioni anomale. Quando non fa di peggio, ovviamente: come cercare di insabbiare l’uccisione senza motivo di un ragazzo che viaggia dentro una macchina in autostrada, omettendo di punire per direttissima il colpevole solo perché porta la divisa. Come si può chiedere a un ragazzo di avere fiducia nel sistema?
L’impressione è che, anche nel caso del popolo delle curve, si tenti solamente di destrutturare da cima a fondo l’aggregazione giovanile che potrebbe portare più consapevolezza e, quindi, più problemi. Meglio generazioni di ragazzi che si istupidiscono davanti a chat, social network,
spot televisivi, magari accompagnando il tutto con un po’ di droga. Saranno sicuramente più innocui, più facili da manipolare, da neutralizzare, da asservire alla logica di chi detiene il potere. Saranno i cittadini ideali di questo Stato per niente ideale.

lunedì 18 febbraio 2008

aumento di capitale "fiduciario"

http://qn.quotidiano.net/conti_del_pallone_2007/2007/05/29/14311-juventus_intrecci_misteri.shtml

I CONTI DEL PALLONE

Juventus, intrecci e misteri dell'aumento di capitale

Qual è il legame che unisce la Semana srl alla Banca del Piemonte? Stando al prospetto dell'aumento di capitale da 104,8 milioni di euro, la Semana opera per la manutenzione del centro sportivo di Vinovo e dello Stadio Delle Alpi. Invece, la Banca del Piemonte è uno dei tre istituti garanti

Torino, 26 maggio 2007 - Qual è il legame che unisce la Semana srl alla Banca del Piemonte? In apparenza nessuno: la prima è una società che si occupa della gestione e manutenzione di impianti sportivi, controllata al 30% dalla Juventus e al 70% dalla Ese srl, mentre l'altra è un istituto bancario posseduto da un unico socio, la Finconfienza spa. Diversi anche i loro rapporti con la società bianconera: stando al prospetto dell'aumento di capitale da 104,8 milioni di euro, pubblicato il 24 maggio scorso, la Semana opera per la manutenzione del centro sportivo di Vinovo e dello Stadio Delle Alpi. Invece, la Banca del Piemonte è uno dei tre istituti garanti, assieme a Hypovereinsbank (gruppo Unicredit) e Banca Imi (gruppo IntesaSanpaolo), dell'acquisto di azioni non eventualmente sottoscritte dai soci della Juventus. In realtà il legame tra la società a responsabilità limitata e la banca è molto forte ed evidente: esso è costituito da Nomenfid, Simonfid e Sofegi. Tutte e tre sono fiduciarie controllate dalla famiglia Grande Stevens, il cui capostipite, Franzo, è ex presidente della Juventus e uno degli uomini più in vista dell'entourage della Famiglia Agnelli: è infatti consigliere di Ifi e Ifil, le due società che a cascata controllano la Juventus. La coincidenza è singolare: esse sono presenti al termine della catena di controllo della Semana e della Banca del Piemonte. La srl è balzata alle cronache già nell'aprile del 2004, con un articolo de Il Manifesto che ne aveva evidenziato l'assetto societario poco trasparente. Poche settimane fa un ex dirigente juventino, Maurizio Capobianco, in un'intervista a La Repubblica aveva parlato della Semana riguardo a un presunto giro occulto di soldi destinati ad arbitri, dirigenti Figc e giornalisti. Ad ogni modo, le fiduciarie nascondono un segreto, probabilmente inconfessabile: esse potrebbero occultare due o più soci che da un lato controllano una società che offre servizi alla Juventus (ed eventualmente ha operato, come spiegato da La Repubblica, attraverso fondi neri sospetti come ha dichiarato Capobianco ai pubblici ministeri torinesi Bruno Tinti e Marco Gianoglio) e dall'altro finanziano la società calcistica. Ma ciò resta soltanto un'ipotesi, come tutte le volte in cui esistono società fiduciarie, poiché non è dato sapere chi possano essere i nomi: il loro scopo, riconosciuto dalla legge, è quello di tenere celati i reali proprietari della Semana e della Banca del Piemonte. Gli azionisti misteriosi di entrambe potrebbero quindi anche non essere le stesse persone.

Lo schermo della Semana…
Per capire meglio l'importante nesso e tra le due aziende, bisogna esaminare la loro catena di controllo e gli uomini in essa presenti, attraverso le ultime visure e gli elenchi soci disponibili in Camera di Commercio. L'azionariato della Semana è rimasto identico a quello della sua fondazione, avvenuta nell'agosto del 2003. Il 30% del suo capitale è mano alla Juventus, mentre il pacchetto di maggioranza è detenuto dalla Ese. Quest'ultima è controllata al 90% dalla Simonfid, mentre il restante 10% dalla Nomenfid. A sua volta, la Simonfid è controllata al 76,72% da un'altra fiduciaria, la Sofegi: tutte hanno sede in via del Carmine 10 a Torino, a pochi metri dal civico 2 dove c'è lo studio dell'avvocato Franzo Grande Stevens. La Sofegi ha tre soci: Franzo Grande Stevens (10%) con i suoi figli Cristina (40%) e Riccardo (60%). A sua volta la Nomenfid ha come azionisti principali i due rampolli dell'"avvocato dell'Avvocato": Cristina 18% e Riccardo 52%.

…e quello della Banca del Piemonte
Tra le tre fiduciarie e la Banca del Piemonte ci sono una serie di intrecci e gustose coincidenze. Il primo elemento, come si è detto all'inizio, è costituito dall'assetto societario dell'istituto che, stando al sito http://www.bancadelpiemonte.it/, ha sede a Torino ed è forte di 51 sportelli distribuiti tra la provincia del capoluogo di regione e quelle di Alessandria e Cuneo. Stando al più recente elenco soci depositato in Camera di Commercio, la Banca del Piemonte è interamente controllata dalla Finconfienza spa, tramite il 77,85% in azioni ordinarie e il 19,92% in titoli privilegiati: questi ultimi, stando all'ultimo bilancio al 31 dicembre 2005 disponibile sul sito della banca, hanno fruttato all'azionista unico circa 1,5 milioni in dividendi su un totale di utili pari a 9,09 milioni. A sua volta Finconfienza è posseduta al 99,99% da Simonfid, mentre la piccola quota restante è di Nomenfid: esse, assieme a Sofegi, custodiscono gelosamente i nomi dei veri proprietari dell'istituto di credito. Ma gli intrecci tra le fiduciarie della famiglia Grande Stevens e la Banca del Piemonte non finiscono qui. Visure alla mano, il presidente di quest'ultima, Lionello Jona Celesia, è possessore del 3% di Nomenfid e ne è sindaco: incarico che ricopre anche nella Simonfid. Un altro anello di congiunzione è rappresentato da Giorgio Ferrino: anch'egli detiene il 3% di Nomenfid, è consigliere di amministrazione di Banca del Piemonte e della sua controllata Finconfienza. Inoltre riveste l'incarico di presidente dei consiglio di amministrazione di Nomenfid, Simonfid e Sofegi.

Intrecci bancari
Nel prospetto informativo dell'aumento di capitale, la Juventus ha "avvisato" gli azionisti dei potenziali conflitti d'interesse in cui incorrono due delle banche che garantiscono le quote non sottoscritte. Hypovereinsbank, banca tedesca del gruppo Unicredit, e Banca del Piemonte sono finanziatori del club bianconero. «Alla data del 31 marzo 2007 l'esposizione debitoria dell'emittente – si legge nel prospetto – nei confronti delle predette banche ammontava complessivamente a circa 19,3 milioni, corrispondenti a circa il 32,6% del'indebitamento finanziario complessivo lordo della società». La Juventus ha anche specificato che con il gruppo Unicredit, tramite la Locat, è stato stipulato un contratto di locazione finanziaria del centro sportivo "Juventus Center" di Vinovo: 19 milioni del totale debitorio della società bianconera sono relativi a questo accordo. Inoltre, il prospetto segnala che i consiglieri juventini Carlo Barel di Sant'Albano e Camillo Venesio "sono rispettivamente membro del consiglio di sorveglianza di IntesaSanpaolo spa e amministratore delegato e direttore di Banca del Piemonte spa». Ma c'è anche un'altra avvertenza. «Si segnala inoltre che Virgilio Marrone – prosegue il testo del prospetto – amministratore delegato di Ifi (che detiene il controllo sulla Juventus tramite la società controllata Ifil) è membro del consiglio di gestione di IntesaSanpaolo spa». Spulciando il sito della Consob (www.consob.it) si nota anche che la Compagnia di San Paolo, ossia la fondazione bancaria presieduta da Franzo Grande Stevens, detiene il 7,684% di IntesaSanpaolo, mentre l'Ifil (controllante al 60% della Juventus) detiene il 2,447% della Juventus. A sua volta IntesaSanpaolo (che possiede Banca Imi, altro garante ell'aumento di capitale) ha il 2,508% di Unicredit. Insomma, gli intrecci delle società di Casa Agnelli con gli attori dell'aumento di capitale della Juventus sono molto forti: è l'ennesima dimostrazione della forza economico-finanziaria della società bianconera, che può sempre dormire sonni tranquilli anche nei momenti più difficili. Invece la maggior parte delle società calcistiche italiane non gode di questa forza e deve arrangiarsi come può. Infine, restano al fondo due domande: è giusto, in ossequio al principio della trasparenza borsisica, varare un'operazione con conflitti d'interesse confessati (in parte) dalla stessa Juventus? Ed è giusto che una delle banche del consorzio di garanzia non riveli i suoi reali azionisti di controllo e si mascherino dietro due fiduciarie?
di Marco Liguori

venerdì 21 novembre 2008

Lorenzo Contucci, il difensore della curva

Riceviamo ancora da Virgilio Motta e pubblichiamo

Intervista:
Il difensore della curva
A colloquio con Lorenzo Contucci, avvocato penalista, esperto della
normativa applicata al mondo degli ultras


di Tommaso Della Longa per il mensile "La Voce del Ribelle"
Avvocato penalista, romano e romanista, Lorenzo Contucci è sicuramente uno dei massimi esperti della normativa applicata alla questione ultras. E grazie al suo lavoro quotidiano, può avere un punto di vista molto chiaro sulle falle del sistema, su cosa andrebbe cambiato e su quello che succede nelle curve italiane e nelle aule di tribunale. Proprio per questo abbiamo
voluto intervistarlo, spaziando dalla situazione legislativa odierna, alla farsa mediatica di Roma-Napoli o alle foto “taroccate” di Bulgaria-Italia.
D. Qual è la situazione odierna della legislazione italiana contro il mondo ultras?
R. È una legislazione definita di prevenzione, ma che in realtà è di repressione. Lo strumento utilizzato è il famoso D.a.spo. (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive, ovvero la “diffida” ndr) la cui durata è oggi passata da uno a cinque anni. Nel 90% dei casi ha l’obbligo
di presentazione alla P.G. L’anomalia è che viene applicato direttamente dal Questore, mentre altre misure di prevenzione di una certa gravità vengono proposte dal Questore e applicate da un giudice. Nel nostro caso l’intervento del giudice - spesso sommario e senza garanzie difensive - esiste solo per l’obbligo di presentazione, ma non per il divieto in sé stesso. In Inghilterra non è così: la polizia propone, il giudice decide. Senza contare che il D.as.po.
si basa il più delle volte su una semplice denuncia che altrettanto spesso finisce in un’archiviazione o in un’assoluzione, naturalmente a provvedimento scontato. Da vero e proprio stato di polizia, invece, è quella parte della legge Amato che consente di diffidare anche senza che vi sia una denuncia: il paradosso è che un soggetto denunciato può sperare nella revoca del d.a.spo. - perché ad esempio viene poi assolto nel procedimento penale – mentre un soggetto non denunciato, ma diffidato non può fare proprio nulla perché non potrà mai ottenere un’archiviazione o un’assoluzione.
D. A cosa ha portato la politica dei divieti e della disgregazione dei gruppi organizzati?
R. Ha portato alla pressoché totale perdita di colori negli stadi e una conseguente perdita di fascino delle partite stesse. I giornali per presentare il derby di Roma continuano a tirare fuori foto di archivio e dimenticano che tutto quel colore che c’era è oggi reato. In più si sono create delle frange anarchiche nel senso non politico del termine, assai pericolose perché premeditano gli scontri.
D. Quando è iniziato il “pugno di ferro” in Italia contro le curve?
R. Poiché la polizia è il braccio operativo del ministero dell’Interno, e quindi del governo, da quando lo Stato ha deciso che alcuni episodi di violenza non potevano più essere tollerati, anche in quanto amplificati dai media e recepiti in tal modo dall’opinione pubblica, con conseguenti riflessi sui governi stessi. Dietro lo slogan del “riportiamo le famiglie
allo stadio”, ampiamente fallito come possiamo vedere con i nostri stadi vuoti, si è semplicemente favorito ulteriormente il mondo delle pay per view, primo canale di introiti per le squadre di calcio, almeno in serie A.
D. Che cos’è esattamente il D.as.po.? È un provvedimento anticostituzionale?
R. È l’ordine con il quale il questore vieta a un soggetto ritenuto pericoloso di andare allo stadio, per un periodo che può andare da uno a cinque anni. Ha quasi sempre abbinato l’obbligo di presentazione alla P.G. per le partite, in casa e in trasferta, della squadra del cuore. La Corte
Costituzionale è più volte intervenuta e il fatto che la legge venga continuamente modificata sull’onda emotiva di fatti di cronaca non potrà impedire che ci si torni di nuovo. Allo stato la Corte Costituzionale ha offerto spunti interpretativi della legge dicendo come i giudici dovevano interpretarla perché non fosse dichiarata incostituzionale. C’è anche da dire che le prime pronunce sono del 1996, quando questi provvedimenti erano annuali e quindi comprimevano in modo limitato la libertà personale. Ora che sono quinquennali è auspicabile un nuovo intervento della Corte, per garantire un diritto di difesa pieno.
D. Come ci si difende da un D.as.po.?
R. È assai difficile. Quando vi è l’obbligo di presentazione, si hanno 48 ore di tempo per difendersi davanti al giudice che lo deve convalidare, ma non vi è una udienza. Si può depositare una memoria difensiva. I tempi assai ristretti spesso vanificano tale possibilità ed è quasi impossibile portare prove a discarico. Dopo la convalida da parte del Gip, si hanno
solo 15 giorni di tempo per andare in Cassazione e solo con un avvocato cassazionista. Contro il divieto di andare allo stadio, invece, si può ricorrere al prefetto, cosa quasi sempre inutile perché gerarchicamente è il superiore del questore, ovvero andare al T.a.r.. Il problema sono le
spese legali da sostenere e il fatto che - basandosi il D.as.po. su una denuncia - per aspettare di avere ragione bisogna attendere che parallelamente il procedimento penale faccia il suo corso, con i tempi biblici che sappiamo.
D. Quali sono le strutture dello stato che dovrebbero controllare i tifosi?
Da chi sono composte? Sono efficaci?

R. Presso le questure vi sono le squadre tifoserie della D.i.g.o.s., che ben conoscono le realtà del tifo organizzato. Di certo con la disgregazione dei gruppi operata dall’operazione repressiva il loro compito si è fatto più difficile per la mancanza di referenti. Poi abbiamo l’osservatorio
nazionale sulle manifestazioni sportive, che ho sempre definito - insieme con il Casm (Comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive ndr) - organismi inutili e da stato di polizia che contribuiscono a distruggere il tifoso da stadio e non solo i tifosi violenti. Il criterio con cui operano è analogo al concetto del buttare via il bambino con l’acqua sporca.
D. Esiste un modo per arrivare al dialogo tra i tifosi e lo stato?
R. La parola “tifosi” comprende più realtà. Per me il tifoso deve fare il tifoso e lo Stato deve fare lo Stato. Essere tifoso non dovrebbe essere una professione e quindi non ho necessità di dialogare con nessuno: vado allo stadio e mi vedo la partita.
D. Le curve sono ancora oggi il più grande movimento giovanile?
R. In parte sì. Quando lo Stato se ne è reso conto ha deciso di ammaestrarle e chi non si fa ammaestrare viene soppresso.
D. Pensi che gli ultras facciano paura per la capacità ancora oggi di aggregare?
R. Assolutamente sì. Chi ci governa non ha capito - e se lo ha capito lo ha fatto tardi - che le politiche attuate hanno radicalizzato alcune frange.
D. Quanto ha influenzato il Legislatore l’onda emotiva della morte di Raciti?
R. Moltissimo. Ancorché quella situazione sia dipesa, anche - e sottolineo anche - da una non corretta gestione dell’ordine pubblico (mi riferisco alla decisione folle di far arrivare i tifosi del Palermo a partita iniziata e non molto tempo prima), era assolutamente ovvio che un fatto
così grave influenzasse il Legislatore. È anche giusto che sia così, sebbene i veri correttivi da apportare non fossero certamente quelli poi adottati populisticamente. In quella occasione per lo meno il fatto era storicamente avvenuto e di assoluta gravità. Tuttavia il Legislatore si muove spesso prescindendo da una reale emergenza, ma sulla mera percezione di essa da parte
dell’opinione pubblica.
D. Ci puoi raccontare com’è stato montato ad arte dai media il caso Roma-Napoli?
R. Tutto è partito da una notizia falsa nata da un comunicato di Trenitalia, recepito dai media nazionali – tv, quotidiani cartacei e on line - come devastazione e sopruso. Televisivamente, sono state mostrate - sapientemente tagliate e montate - fotografie di un paio di vetri rotti
mostrati da tutte le angolazioni e i napoletani che correvano alla stazione Termini sono stati presentati come facinorosi che creavano disordini, sottacendo che stavano semplicemente correndo verso i pullman perché era già finito il primo tempo. Basta andare su Youtube per verificare come il loro comportamento sia stato senz’altro folkloristico e agitato, ma certamente non violento. Eppure è passata la notizia di stazioni e treni devastati. Per fortuna su quel treno c’erano due giornalisti austriaci che, allibiti, hanno raccontato come nulla di quello che era stato detto sui media fosse vero. Solo pochi giornalisti illuminati – come nel caso del servizio d’inchiesta di Rai News 24 - hanno dato notizia della bufala mediatica. Ovviamente dopo che il giudice sportivo aveva chiuso entrambe le curva del San Paolo e che il Ministro Maroni aveva proibito ai tifosi del Napoli tutte le trasferte, proprio nell’occasione in cui - sono parole di un giudice - avevano fatto tutto il possibile per evitare problemi. Una
disorganizzazione totale dell’evento è stata attribuita, con la solita complicità dei media, ai tifosi per coprire le responsabilità di chi gestisce l’ordine pubblico, con tanto di servizi segreti al suo interno. In un Paese che ancora non ha fatto chiarezza su Ustica, Bologna e tante
stragi impunite non mi stupisco più di nulla e sono sempre più motivato nel non votare più.
D. Cosa è successo veramente quel giorno a Roma?
R. Ho già risposto. Mi limito ad aggiungere che uno dei più seri quotidiani italiani, il Corriere della Sera, per ben due volte ha inserito delle fotografie con la didascalia “i tifosi del Napoli durante gli scontri di Roma” riferite a episodi di diversi anni fa. Mi è bastato navigare per
cinque minuti su internet per mostrare la falsità della rappresentazione. Questo comportamento non è solo deontologicamente scorretto. È ben di più, visto che influenza l’opinione pubblica e, di conseguenza, il Legislatore.
D. Sappiamo che hai difeso alcuni ultras napoletani e che sei stato criticato da alcuni quotidiani. Cosa ne pensi?
R. Ho già detto cosa penso di alcuni giornalisti che lavorano per alcuni quotidiani. Si spacciano per democratici quando uno stato totalitario rappresenterebbe, per loro, il luogo naturale di espressione. Il tifoso delinque lanciando un sasso o in molti altri modi, il giornalista delinque
dicendo menzogne basate su fatti falsi. Questo, per il sottoscritto è un comportamento criminale assai più grave del ragazzino che lancia un sasso, se non altro perché i quotidiani sono sovvenzionati anche dallo Stato: il ragazzino che lancia un sasso no.
D. E della questione Bulgaria-Italia cosa ne pensi? Anche lì gli scontri e i famigerati saluti romani sono stati una montatura. Erano tutti da parte bulgara....
R. Sono rimasto allibito. Non si tratta di essere di una idea politica o di un’altra. Si tratta di distinguere il falso dal vero. La quasi totalità dei giornali, approfittando dell’identità dei colori nazionali, hanno spacciato i tifosi bulgari pieni di svastiche per quelli italiani, che certo di
sinistra non erano ma che hanno tenuto comportamenti assai meno esibizionistici. Poiché l’onda emotiva del momento è la questione fascismo/antifascismo, il meccanismo tritatutto dell’informazione di regime ha, in modo criminale, trattato la notizia. Mi ripeto: un giudice delinque se si vende una sentenza, un avvocato se tradisce il proprio cliente e un giornalista se dice falsità.
D. Esiste un’informazione libera e corretta in Italia?
R. Solo su internet e da parte di pochi giornalisti coraggiosi, per i quali ho la massima stima. Purtroppo temo non faranno carriera, per lo meno in Italia. Se i giornali sono il cane da guardia della democrazia - come ha scritto la Corte di Cassazione - internet è il leone da guardia della
democrazia stessa. È per questo che ci sono progetti di legge per limitarne la capacità di espressione.
http://www.wikio.it

il pallone in confusione

Registrazione n° 61 del 28 settembre 2009 presso il Tribunale di Napoli
Sede: corso Meridionale 11, 80143 Napoli
Editore e direttore responsabile: Marco Liguori

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